‘Ndrangheta: confermato il carcere duro per elemento di vertice del clan Pardea di Vibo
La Cassazione respinge il ricorso ritenendolo inammissibile poiché manifestamente infondato e conferma la decisione del Ministero della Giustizia
Resta detenuto in regime di carcere duro (articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario) Antonio Macrì, 67 anni, di Vibo Valentia, condannato il 20 novembre 2023 a 20 anni e 10 mesi al termine del maxiprocesso Rinascita Scott. La prima sezione penale della Cassazione ha infatti ritenuto inammissibile, poiché manifestamente infondato, il suo ricorso avverso un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma che ha confermato il decreto del ministro della Giustizia con il quale è stata disposta la sottoposizione al regime detentivo differenziato. In particolare, il Tribunale di sorveglianza di Roma, richiamato il decreto ministeriale, ha ritenuto sussistere sia gli elementi sintomatici della ricorrenza di gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, sia quelli relativi a una consistente e attuale pericolosità sociale. Il Tribunale di Sorveglianza ricorda quindi che Antonio Macrì è stato condannato per reati, commessi a partire dagli anni ’70, di tentata estorsione, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali, violazione di misure di prevenzione e della legge armi, rendendosi latitante nel 1974, con più segnalazioni per rapina, nonché sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza dal 1977 al 1985. Nell’ambito dell’inchiesta Rinascita-Scott, Antonio Macrì avrebbe svolto un ruolo operativo nel mantenimento dei rapporti con soggetti di altre cosche mafiose del Vibonese e nella conclusione di accordi criminali di ripartizione. Tale curriculum criminale per il Tribunale ed ora la Cassazione “ha consentito ad Antonio Macrì di accedere a una posizione di rilevo nell’assetto della ‘ndrangheta di Vibo Valentia, partecipando alla ‘ndrina Pardea-Ranisi, attualmente diretta dal figlio Domenico. Gli elementi evidenziati dall’ordinanza cautelare (intercettazioni ambientali e dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Bartolomeo Arena e Raffaele Moscato) hanno consentito di apprezzare come Antonio Macrì abbia svolto un ruolo attivo nel partecipare a riunioni con i vertici dell’associazione mafiosa e a episodi di estorsione nei confronti di imprenditori. Il collaboratore Arena individua Macrì quale contabile della cosca”. Quale ulteriore prova del coinvolgimento del ricorrente negli affari del clan Pardea (“Ranisi”) viene citato l’episodio della sparatoria posta in essere da Rosario Pugliese contro l’autovettura nella quale c’erano lui e i sodali Arena e Camillò”. In ordine infine alla capacità attuale di Antonio Macrì di mantenere “rapporti con l’associazione mafiosa”, la stessa è “desunta dal carattere familistico della stessa ove il figlio ne rappresenta l’elemento di vertice e, tra i comprimari, sono stati individuati i fratelli Michele e Rosario, il cugino Luciano e il “fratellastro” Domenico Pardea”. Viene inoltre evidenziato che la “latitanza di cui ha goduto Antonio Macrì negli anni ’70 conferma la sua diffusa rete di rapporti criminali che non è mai stata interrotta, come dimostrato dalle comunicazioni costanti e dal denaro ricevuto sia dalla moglie che dalla madre, nonché dalle “ambasciate” inviate per i “rimpiazzi” pianificati dal carcere”.
LEGGI ANCHE: Imponimento: “pioggia” di richieste di condanna in appello nel troncone dell’abbreviato
I presunti rapporti tra il boss Anello e l’ex assessore Stillitani nei nuovi verbali di Onofrio Barbieri
Maestrale-Olimpo-Imperium: in 188 rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale di Vibo – Nomi/Foto
- Tags
- clan pardea