Il Corsivo | Comunali a Vibo: la candidatura di Romeo frutto di un percorso travagliato nel polo progressista
Le “mosse” del Pd per imporsi sul M5S, Liberamente Progressisti e Umanesimo sociale. Il ruolo di Santoro per far fuori proprio il candidato proposto dai Cinque Stelle e il documento sottoscritto con il candidato del Partito democratico
Con l’ufficializzazione della candidatura a sindaco di Enzo Romeo per il polo progressista si chiude un percorso molto travagliato, che nessuna narrazione edulcorata potrà mai far apparire diverso da quello che è stato. Proprio per sgombrare il campo da questi tentativi, riteniamo opportuno, prima di ogni approfondimento e valutazione, ripercorrere gli eventi nella loro essenzialità. Tutto è cominciato con un documento sottoscritto dal M5S, Liberamente Progressisti, Partito democratico ed Umanesimo Sociale, col quale si spiegavano le ragioni dello stare insieme (si voleva offrire ai vibonesi una concreta alternativa alle forze di destra che da quindici anni governano la città) e si stabilivano le modalità da seguire per individuare un candidato a sindaco condiviso da tutti (ogni forza politica avrebbe dovuto presentare una rosa di nomi al tavolo della discussione, al fine evidente di raggiungere un accordo e, solamente dopo, presentarsi ai cittadini con un candidato unitario). Invece di attenersi a quanto sottoscritto, il Pd, nel corso di un’apposita pubblica riunione, presentò a favore di telecamere Enzo Romeo come candidato a sindaco.
Tale modus operandi venne percepito dagli altri alleati come una chiara imposizione, per cui chiesero, ma inutilmente, al Pd un passo indietro per evitare di mettere a rischio la tenuta della coalizione. Si crearono due fronti contrapposti, in particolare il M5S, Liberamente Progressisti ed Umanesimo Sociale, esplicitarono, attraverso diversi interventi sulla stampa, le ragioni del loro no a Romeo: oltre alla questione di metodo, l’ex presidente della Provincia rappresentava l’esatto contrario di quella figura di netta rottura con il passato che invece andava ricercata e proposta ai cittadini. In questo contesto irruppe, come un fulmine a ciel sereno, un documento sottoscritto dal capogruppo consiliare grillino Domenico Santoro e da Enzo Romeo, col quale i due convennero che il candidato a sindaco ideale della coalizione dovesse possedere una specifica esperienza amministrativa. Da quel momento, per i motivi che vedremo, la strada di Romeo da irta si è trasformata in un’agevole discesa verso il traguardo. Ciò posto, riteniamo utile partire da quanto già scritto nel momento in cui il Pd propose il nome di Romeo, ovverosia che egli è una persona particolarmente stimata in città e che questo dato di fatto ha rappresentato e rappresenta l’unica arma di cui dispone il Pd cittadino per risalire la china della profonda voragine in cui era precipitato in fatto di credibilità in seguito alle forzature di regolamenti e statuti che hanno caratterizzato i lavori dell’ultimo congresso cittadino. La prima domanda da porsi è se la figura di Romeo, oltre agli evidenti “effetti benefici” di cui si è appena detto, riuscirà ad incidere in modo analogo nel quadro più generale dell’intera coalizione, portandola alla conquista di palazzo Razza. In questo contesto bisogna tenere presente che le elezioni comunali sono regolate da meccanismi che comprimono enormemente il voto di opinione, poiché l’elettore, piaccia o non piaccia, sarà condizionato dalla presenza di parenti ed amici tra i candidati. Tutto questo fa assurgere ad ago della bilancia non le qualità delle persone, ma la capacità di comporre le liste, da intendersi non nel senso della quantità numerica, bensì proprio con riferimento ai nominativi dei candidati. Stando così le cose, ed in attesa di conoscere la composizione delle liste messe in campo dal Pd e da Romeo, riteniamo che egli difficilmente potrà incidere in maniera analoga a quanto fatto ad esclusivo beneficio del Pd. Chiarito questo aspetto, bisogna affrontare un tema che è stato molto dibattuto, precisamente quello afferente al “cambio di posizione” nei confronti di Romeo da parte del M5S e dei Liberamente Progressisti. La narrazione edulcorata di cui si è detto in premessa tende a far apparire la metamorfosi di Tucci e Lo Schiavo come una scelta convinta, mentre invece a noi appare più come una scelta forzata. Per comprendere appieno la situazione in cui si sono venuti a trovare i due politici, occorre aprire una parentesi sul ruolo di Domenico Santoro il quale – mentre Tucci, Lo Schiavo e Consoli erano impegnati a far comprendere al Pd l’importanza di presentarsi agli elettori con una figura nuova, proveniente dalla società civile, in grado di incarnare l’idea di una netta rottura con il passato – sottoscriveva insieme a Romeo il documento di cui si è già detto, col quale in sostanza si affermava l’esatto contrario.
La presa di posizione di Santoro è stata determinante per far fare un passo indietro al giornalista Pietro Comito, il quale, pur non essendo mai stato indicato in modo ufficiale, era il candidato in pectore del M5S, Liberamente Progressisti ed Umanesimo Sociale. Il giornalista era stato chiaro nel momento in cui aveva dato la propria disponibilità, vincolandola alla condivisione da parte di tutte le quattro componenti che avevano dato origine al polo progressista. Già l’indicazione di Romeo da parte del Pd lo aveva fatto riflettere sull’opportunità di fare un passo di fianco per facilitare la ricerca di un nome condiviso da tutti, la successiva presa di posizione di Santoro poi ha rappresentato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La rinuncia del giornalista ha posto Tucci e Lo Schiavo di fronte ad un’alternativa: o trovare un nuovo candidato e proseguire insieme a Consoli, dividendo le forze progressiste a tutto vantaggio della destra, salvaguardando però la loro immagine in fatto di coerenza, oppure esporsi alle legittime critiche d’incoerenza, accettando l’imposizione del Pd pur di consentire alle forze progressiste di scendere in campo senza partire sconfitte ancor prima di cominciare. Sappiamo quale è stata la scelta dei due: essa può essere condivisa (da pochi) o criticata (da molti), ma è certamente da ipocriti considerare quella scelta come un frutto gustoso, anziché un indigesto rospo che Tucci e Lo Schiavo sono stati costretti ad ingoiare. A questo punto bisogna chiedersi cosa abbia spinto Santoro ad affossare la candidatura di Comito a tutto vantaggio di quella di Romeo. Si potrebbe ipotizzare che egli, entrato in Consiglio comunale quale candidato a sindaco non eletto – di fronte alla prospettiva di perdere, in occasione della prossima tornata elettorale, quel paracadute – abbia pensato di tutelarsi dal rischio di rimanere fuori dai giochi; nel caso in cui i progressisti dovessero conquistare palazzo Razza, Romeo potrebbe garantirgli un “ripescaggio”, qualora con le proprie forze non riuscisse a farsi eleggere consigliere, come assessore o addirittura come vicesindaco.
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