Operazione Maestrale: le quattro “famiglie” della ‘ndrina di San Giovanni di Mileto tra boss e affiliati
Ascesa ed evoluzione di una delle principali consorterie criminali del Vibonese capace di programmare omicidi, infiltrarsi nella politica locale e gestire estorsioni, traffici di droga e armi
E’ una ‘ndrina storica quella di San Giovanni di Mileto, da sempre al centro di dinamiche criminali che hanno travalicato gli stretti confini della frazione. “Famiglie” come quelle dei Prostamo, dei Pititto, dei Iannello, dei Tavella e dei Galati continuano infatti a “dominare” le cronache criminali da decenni, arrivando sul finire degli anni ’80 – grazie ad un’alleanza con il più potente clan Mancuso di Limbadi – ad avere un ruolo nelle guerre di mafia combattute non solo nel territorio di Mileto, ma anche a Laureana di Borrello e Candidoni, così come emerso nell’imponente operazione “Tirreno” della Dda di Reggio Calabria scattata nel 1993. L’operazione Maestrale-Carthago dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia – coordinati dalla Dda di Catanzaro – offre quindi un quadro attuale degli assetti criminali e della struttura del “locale” di ‘ndrangheta di Mileto. Al vertice della ‘ndrina di San Giovanni di Mileto – nonché promotore, capo e organizzatore del “locale” di Mileto – viene collocato Pasquale Pititto, di 57 anni, già condannato all’ergastolo per l’omicidio di Pietro Cosimo consumato a Catanzaro nel 1990 (condannato quale esecutore materiale insieme a Nazzareno Prostamo).
Cognato dello storico collaboratore di giustizia Michele Iannello (a sua volta condannato per l’omicidio del bimbo americano Nicholas Green), Pasquale Pititto è stato condannato anche a 25 anni di reclusione nel processo “Tirreno” quale esecutore materiale dell’omicidio di Vincenzo Chindamo e del tentato omicidio di Antonio Chindamo, fatti di sangue commessi a Laureana di Borrello l’11 maggio 1991 su mandato del boss Giuseppe Mancuso di Limbadi. Pasquale Pititto si trova su una sedia a rotelle dopo aver subito negli anni ’90 un tentato omicidio ad opera del contrapposto clan Galati di San Giovanni di Mileto. Godendo di alcuni periodi di detenzione domiciliare, Pasquale Pititto è accusato di aver diretto la ‘ndrina di San Giovanni di Mileto occupandosi di dirimere i contrasti tra gli affiliati e di conferire nuove doti di ‘ndrangheta, così come dirigere il traffico di droga e organizzare le piazze di spaccio. Per gli inquirenti si sarebbe “interfacciato con gli esponenti delle altre consorterie per la promozione di imprenditori a lui graditi”.
Al vertice della ‘ndrina di San Giovanni e del “locale” di Mileto viene collocato anche Salvatore Pititto, 57 anni, cugino di Pasquale. Si sarebbe occupato del controllo del territorio, delle azioni omicidiarie, delle estorsioni, del traffico di droga, del sostentamento degli affiliati detenuti e dei rapporti con gli altri clan. Avrebbe quindi intrattenuto rapporti con gli imprenditori locali e con le vittime di estorsioni.
Altro vertice della consorteria di San Giovanni di Mileto viene indicato in Nazzareno Prostamo, di 63 anni, alias “Buttafuoco”, fratello del boss Giuseppe Prostamo, quest’ultimo ucciso il 3 giugno 2011 a San Costantino Calabro. Pur detenuto per il tentato omicidio di Rocco La Scala, Nazzareno Prostamo avrebbe mantenuto il ruolo di promotore ed organizzatore del “locale” di ‘ndrangheta di Mileto, venendo considerato un esponente di spicco della ‘ndrina di San Giovanni di Mileto contribuendo alla pianificazione delle strategie e degli obiettivi del clan. Domenico Iannello e Rocco Iannello, rispettivamente di 47 e 49 anni, vengono invece indicati quali “partecipi attivi del locale di ‘ndrangheta di Mileto in quanto appartenenti alla ‘ndrina di San Giovanni”. In stretti rapporti con Pasquale e Salvatore Pititto e con gli altri esponenti del “locale” di Mileto, avrebbero contribuito – sotto l’egida di Pasquale Pititto e alle dirette dipendenze di Salvatore Pititto di cui eseguivano gli ordini – i due Iannello si sarebbero occupati del “sostentamento economico del sodalizio, attraverso la materiale consumazione di condotte estorsive ed il coinvolgimento nel traffico di droga, ponendo in essere, se necessario, minacce, atti intimidatori ed azioni omicidiarie”.
Capo promotore sia del “locale” di ‘ndrangheta di Mileto che della ‘ndrina di San Giovanni, Fortunato Tavella, di 66 anni, in alcuni periodi sarebbe stato anche in rapporti conflittuali con gli altri esponenti criminali del territorio. “In grado di dirigere il proprio gruppo familiare”, per la Dda avrebbe gestito i rapporti con le altre “famiglie” e gli altri gruppi criminali della zona, “anche arrogandosi il diritto ad una sorte di prelazione mafiosa in caso di compravendita di terreni nella zona di sua competenza”, partecipando alla ripartizione delle estorsioni.
Antonino Fogliaro, 48 anni, alias “U Rijakard”, ex assessore comunale di Mileto, viene accusato di essere un “partecipe attivo della ‘ndrina di San Giovanni, alle dirette dipendenze dei sodali sovraordinati, con il compito di assicurare le comunicazioni tra gli associati, partecipare alle riunioni ed eseguire le direttive dei vertici della società e dell’associazione, riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole interne al sodalizio”. Ad avviso della Dda di Catanzaro sarebbe rimasto un affiliato nonostante la detenzione, “potendo rivendicare dai sodali, per mezzo di “imbasciate”, un adeguato sostentamento economico di cui si occupavano i vertici del sodalizio”. Dalla relazione della Commissione di accesso agli atti, che ha portato nel 2012 allo scioglimento del Comune di Mileto, si evincono numerosi controlli del territorio che hanno riguardato Fogliaro, trovato in compagnia di diversi soggetti con pregiudizi di polizia e noti alle forze dell’ordine; nell’operazione Stammer (traffico internazionale di cocaina con i cartelli colombiani), invece, Antonino Fogliaro è stato ritenuto uomo vicino a Salvatore Pititto, quest’ultimo esponente di spicco dell’omonimo clan di San Giovanni di Mileto.
Altro partecipe attivo alla ‘ndrina di San Giovanni sarebbe poi Rocco Gagliardi, di 41 anni, il quale avrebbe partecipato alle riunioni legandosi in particolare al defunto Giuseppe Prostamo, occupandosi di armi e venendo ritenuto una sorta di “azionista” del clan utilizzato per le “azioni violente”.
I Prostamo e i Tavella
In carcere per l’omicidio e la soppressione del cadavere di Francesco Vangeli, Antonio Prostamo, 35 anni, sarebbe stato affiliato al clan da Pasquale Pititto e si sarebbe occupato della detenzione di armi e a livello locale del traffico di droga, secondo rigide spartizioni delle “piazze” di spaccio stabilite dai vertici dell’organizzazione. Stesso ruolo anche per il fratello Giuseppe Prostamo, 39 anni, detto “Ciopane”, pure lui coinvolto e condannato in primo grado per l’omicidio di Francesco Vangeli. Partecipe alla ‘ndrina di San Giovanni di Mileto viene poi indicato Francesco Prostamo, 47 anni, detto “Diavulu”, il quale oltre ad essere ritenuto “formalmente affiliato alla ‘ndrangheta”, si sarebbe occupato di intrattenere “rapporti strategici con i Bonavota di Sant’Onofrio”. Giuseppe Prostamo, 35 anni, alias “Giubba”, e Francesco Prostamo, 39 anni, detto “U Zorru”, devono invece rispondere dell’accusa di associazione mafiosa quali affiliati alla ‘ndrina di San Giovanni, strettamente collegati al padre Nazzareno Prostamo ed allo zio Pasquale Pititto. Si sarebbero occupati di atti intimidatori, furti, droga, armi, estorsioni ed avrebbero partecipato a riunioni per decidere azioni omicidiarie.
Benito Tavella e Rocco Tavella, rispettivamente di 36 e 40 anni, avrebbero fatto parte del gruppo diretto dal padre Fortunato Tavella, occupandosi del traffico di droga e della detenzione di armi, “contribuendo alla realizzazione degli obiettivi da perseguirsi e delle azioni delittuose da compiere, mediante la consumazione di atti intimidatori e la partecipazione ad azioni omicidiarie”. Infine, Salvatore Palmieri, 48 anni, viene indicato dalla Dda di Catanzaro quale soggetto in “stretti rapporti con Antonio Prostamo, di avrebbe eseguito le direttive, contribuendo sotto l’egida di Pasquale Pititto” che ne avrebbe promosso l’affiliazione. Cooperando con Antonio Prostamo, Salvatore Palmieri si sarebbe occupato del traffico di droga, della detenzione di armi e della consumazione di atti intimidatori.
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