sabato,Novembre 30 2024

Pressioni e ricatti su Emanuele Mancuso, la Procura generale presenta ricorso in Cassazione

In appello si sono registrate le assoluzioni degli imputati dal reato di violenza privata nei confronti del collaboratore di giustizia. Il ruolo dell’ex compagna, la promessa di regalargli un bar e di vedere più spesso la figlia se avesse «restituito l’onore» al casato mafioso di Limbadi e Nicotera

Pressioni e ricatti su Emanuele Mancuso, la Procura generale presenta ricorso in Cassazione
La Corte d'Appello di Catanzaro e nei riquadri Emanuele Mancuso, Pantaleone Mancuso e Giuseppe Mancuso
Nency Vera Chimirri

di Alessia Truzzolillo
Ricorso in Cassazione da parte della Procura generale di Catanzaro nel procedimento che mira a far luce sulle pressioni e i ricatti per far desistere dalla collaborazione con la giustizia Emanuele Mancuso. Il 18 luglio 2023 la Corte d’Appello ha emesso due sentenze riguardanti la vicenda di Emanuele Mancuso – che è parte civile, assistito dall’avvocato Antonia Nicolini –: una sul rito abbreviato, che coinvolge Nensy Vera Chimirri e Francesco Paolo Pugliese (accusato di reati in materia di armi e di avere favorito la latitanza di Giuseppe Mancuso), e una sul rito ordinario di primo grado che coinvolge Giuseppe Mancuso, fratello del collaboratore, il padre Pantaleone Mancuso, detto “l’ingegnere”, la madre Giovanna Del Vecchio, la zia Rosaria Del Vecchio e la sorella Desiree Mancuso. Rispetto al primo grado, le condanne sono state così ridimensionate: 5 anni a Giuseppe Mancuso (5 anni e 6 mesi in primo grado); un anno e 4 mesi per Pantaleone Mancuso (4 anni in primo grado); un anno e 4 mesi per Giovanna Del Vecchio (1 anno e 8 mesi in primo grado); assoluzione per Rosaria Del Vecchio (1 anno e 8 mesi in primo grado); assoluzione per Desiree Mancuso (assolta anche in primo grado); 2 anni e 2 mesi per Francesco Pugliese (6 anni in primo grado al termine del rito abbreviato); 10 mesi per Nency Vera Chimirri (4 anni in primo grado al termine del rito abbreviato). Venuta meno anche l’aggravante mafiosa dai delitti in materia di armi nei confronti di Giuseppe Mancuso e Francesco Pugliese.
La Procura generale ha quindi proposto appello per Cassazione per le posizioni di Pantaleone Mancuso, Giovanna Del Vecchio, Giuseppe Mancuso, Desiree Mancuso, Nensy Vera Chimirri, Francesco Pugliese e sull’annullamento dell’aggravante mafiosa sulla detenzione delle armi.

La «strategia di accerchiamento psicologico»

Giovanna Del Vecchio

Dai reati di violenza privata e induzione a non rendere dichiarazioni è stato assolto Giuseppe Mancuso, colui che il 20 giugno 2018 avrebbe contattato «dal carcere di Siano la madre, Giovanna Ortensia del Vecchio, per informarla di aver appreso – dalle “guardie”, che “sono peggio degli informatori e sono andati a dirglielo in cella” – che Emanuele Mancuso aveva iniziato a collaborare con l’Autorità giudiziaria – confermando che nella notte precedente lo aveva chiamalo dalla finestra, dicendogli “… tamburro che stai combinando”». Per la stessa accusa i genitori di Emanuele Mancuso sono stati condannati per il solo reato di tentata violenza privata. Per le pressioni a Emanule Mancuso è stata del tutto assolta la sorella Desiree. Su questi punti il pg Maffia ha chiesto l’annullamento della sentenza alla Cassazione.
Secondo i giudici d’appello le pressioni esercitate su Emanuele Mancuso «non erano causalmente orientate verso un interrogatorio specifico ma bensì dirette a far uscire il collaboratore dal programma di protezione…».
Ma, fa notare la Procura generale, dalle stesse testimonianze di Emanuele Mancuso si è avuto modo di accertare che «rilevantissimi erano gli interessi non soltanto individuali ma collettivi, per la tutela dell’esistenza stessa della cosca di appartenenza e del mantenimento del primato e della direzione della stessa da parte proprio dei familiari del Mancuso Emanuele. Si è trattato dunque di una pluralità di condotte che si sono sviluppate attraverso una vera e propria strategia di accerchiamento psicologico del collaboratore da parte di soggetti comunque collegati allo stesso da legami familiari strettissimi».
Per quanto riguarda il reato di induzione a non rendere dichiarazioni, l’accusa fa notare che «è un reato che mira a sanzionare “qualsiasi condotta” funzionale ad alterare il processo decisionale di chi “legittimamente” può scegliere di astenersi dal rendere dichiarazioni». CONTINUA A LEGGERE QUI: Il pentito Emanuele Mancuso «accerchiato» dalla sua famiglia. La Procura generale: «Pressioni e minacce» per farlo ritrattare

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