La strage di Sant’Onofrio: il ricordo di Libera e una storia ancora in parte da scrivere
L’associazione antimafia ricorda stamane con una messa e la deposizione di una corona le due vittime innocenti del fatto di sangue che il 6 gennaio 1991 provocò due morti e nove feriti. Ecco la ricostruzione di una delle pagine più nere della storia criminale del Vibonese
Commemorazione stamane da parte del coordinamento provinciale di Libera di Vibo Valentia delle vittime innocenti della Strage dell’Epifania a Sant’Onofrio del 1991: Onofrio Addesi e Francesco Augurusa, freddati in da un commando del clan Petrolo-Matina-Bartolotta che all’epoca era impegnato in una cruenta faida contro il clan Bonavota. “Ci ritroveremo per la celebrazione della santa messa in loro suffragio nella Chiesa Madre Santa Maria delle Grazie di Sant’Onofrio alle ore 11:00 – fa sapere Libera – e, subito dopo, nella Pizza Umberto I per deporre una corona di fiori sulla targa a loro dedicata. Un momento di raccoglimento e di preghiera nel ricordo di due uomini che nulla avevano a che fare con le dinamiche criminali e che purtroppo, rimasero vittime del fuoco incrociato che, in quei tempi, insanguinava il paese a causa di una guerra per il controllo del territorio da parte di due ‘ndrine rivali. Nella piazza teatro di quella violenza inaudita che ha segnato un’intera comunità, ora predomina, invece, il ricordo di due uomini buoni la cui memoria deve essere monito per il risveglio delle coscienze e per incanalare positivamente ogni energia di impegno e partecipazione per il riscatto di un intero territorio”.
Cronistoria della strage
Due morti, nove feriti e un dolore che non si cancella. Neanche a distanza di così tanto tempo. Troppo eclatanti le modalità della follia criminale, troppo vistose le ferite inferte ad un’intera comunità che stenta ancora ad affrancarsi dalle logiche mafiose. E’ la mattina del 6 gennaio 1991 e per Sant’Onofrio è il giorno più nero della sua storia recente. Un commando composto da quattro sicari armati di mitra e pistole irrompe nella piazza principale del paese, affollata in quel momento di persone appena uscite dalla chiesa. La festa dell’Epifania viene spezzata dagli spari improvvisi, che sembrano non finire mai. In un fuggi-fuggi generale, in una pozza di sangue restano a terra due morti e ben nove feriti, tutti onesti cittadini Sant’Onofrio ed estranei allo scontro fra i clan. E’ la “strage dell’Epifania”: un vero e proprio raid punitivo ordinato dal clan Petrolo-Matina-Bartolotta contro alcuni familiari del clan Bonavota, erroneamente ritenuti presenti quel giorno in piazza. Nell’occasione, l’autovettura adoperata dal commando omicida viene intercettata da una pattuglia dei carabinieri e bloccata nei pressi delle case popolari di Pizzo.
A bordo viene individuato un solo uomo, poi identificato in Rosario Michienzi, di Stefanachello, una contrada fra Stefanaconi e Sant’Onofrio. Nei giorni successivi, Michienzi indica i nomi dei componenti del gruppo di fuoco ed offre la spiegazione di un delitto tanto efferato, ascrivendolo al clan Petrolo ed, in particolare, ai mandanti Rosario Petrolo, detto “Sarino da Petrara”, ai fratelli Nazzareno e Pasquale Matina, soprannominati “I Sabini”, entrambi di Stefanaconi, ed a Gerardo D’Urzo (anche lui futuro collaboratore di giustizia), di Sant’Onofrio, tutti arrestati il 10 gennaio successivo, unitamente ad Antonio Bartolotta di Stefanaconi. Viene svelata anche la causale della strage, da individuarsi nella determinazione dei Petrolo-Matina, “famiglie” unite al clan di Stefanaconi guidato da Nicola Bartolotta, di dare una risposta all’omicidio di Domenico Moscato, ucciso il 3 gennaio 1991 ed attribuibile, secondo le dichiarazioni di Michienzi e poi le sentenze, alla consorteria rivale dei Bonavota. Il clan Petrolo, al culmine di uno scontro iniziato nella metà degli anni ’80, programma così il duplice omicidio di Rosario Cugliari (già sfuggito ad un precedente agguato) e Antonio Lo Preiato, parenti degli stessi Bonavota “e – si legge nelle sentenze e nella ricostruzione degli inquirenti – previsti come presenti quel giorno in piazza”. La sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Catanzaro arriva il 22 maggio del 1992: ergastolo per Petrolo, D’Urzo, Bartolotta ed i fratelli Matina, 8 anni e sei mesi, invece, per Rosario Michienzi, divenuto collaboratore di giustizia. Nessun parente delle due vittime si costituisce parte civile nei processi. Il 6 maggio del 1993, però, la Corte d’Assise d’appello, a causa della mancata citazione in aula del fratello di una delle vittime della strage, annulla gli ergastoli.
Tutto da rifare, nuovo processo in Appello, ancora condanne ed ergastoli divenuti definitivi nel 1996. Le sentenze sull’efferato fatto di sangue svelano l’esistenza di due sottostrutture operanti all’interno del “locale di ‘ndrangheta” di Stefanaconi e Sant’Onofrio: “la società maggiore” di Stefanaconi, e la “società minore” operante anche su Sant’Onofrio che, per ogni affare illecito, deve versare una percentuale alla “maggiore”. L’inizio della faida viene fatto risalire alla volontà di Vincenzo Bonavota (defunto padre di Pasquale e Domenico Bonavota, ritenuti attualmente alla guida del clan) di non dividere i proventi illeciti con i Matina-Petrolo-Bartolotta, raggruppamento sotterraneamente appoggiato dalla “società maggiore” guidata, secondo Michienzi e gli inquirenti, dai Lopreiato di Stefanaconi, parenti degli stessi Matina. I Lopreiato, però, usciranno indenni da tutte le accuse. Buona parte della storia criminale di Stefanaconi e Sant’Onofrio – a distanza di tanti anni e nonostante l’operazione “Conquista” contro il clan Bonavota – aspetta ancora di essere scritta.
La Cassazione e il ricorso di Matina respinto
Nel luglio del 2019 la Cassazione ha invece respinto il ricorso di Pasquale Matina, 68 anni, condannato all’ergastolo quale mandante della “strage dell’Epifania di Sant’Onofrio”. Pasquale Matina aveva presentato un ricorso contro l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna secondo il quale la ricostruzione della strage era stata possibile grazie alla collaborazione di uno dei correi (Rosario Michienzi), il quale aveva consentito di scoprire che la masseria di Pasquale Matina era una base logistica della cosca, dove si riunivano gli affiliati e dove erano custodite armi e munizioni, che proprio Pasquale Matina “prelevava e provava: di conseguenza, egli era un soggetto di ruolo rilevante nella cosca”. I giudici del Tribunale di Sorveglianza di Bologna avevano poi sottolineato che Pasquale Matina “sta espiando la pena per un delitto di natura ostativa per cui soltanto per errore in passato aveva fruito di permessi”. Era stata poi rimarcata la circostanza “che non era stata mai appurata la provenienza e la consistenza delle armi utilizzate nella strage, per cui molti aspetti della vicenda criminosa non erano stati accertati e da qui il fatto che la collaborazione con la giustizia non è “inesigibile ed impossibile” come sostenuto da Pasquale Matina, visto che diversi sono ancora i lati oscuri della strage che, in teoria, potrebbero essere chiariti proprio da Pasquale Matina. Per i giudici, infatti, Pasquale Matina è tuttora in “possesso di un bagaglio di conoscenze delle quali nulla ha rilevato, sicchè residua uno spazio utile collaborativo”. Da qui il rigetto del ricorso di Pasquale Matina che aveva equiparato “la collaborazione effettiva alla collaborazione “impossibile” o “inesigibile”: quelle condizioni, cioè, inizialmente individuate dalla giurisprudenza costituzionale come equipollenti alla collaborazione effettiva ai fini della rimozione della preclusione all’accesso ai benefici penitenziari. Da ricordare che nel giugno del 2011 nel carcere di Spoleto si è tolto la vita Nazzareno Matina, di Stefanaconi, fratello di Pasquale ed anche lui condannato all’ergastolo (unitamente a Rosario Petrolo) dalla Corte d’Assise di Catanzaro per la strage dell’Epifania a Sant’Onofrio.
LEGGI ANCHE: ‘Ndrangheta nel Vibonese: al via l’udienza preliminare per 285 imputati – Nomi/Foto
Rinascita Scott: ecco la sentenza della Corte d’Assise per cinque omicidi nel Vibonese
‘Ndrangheta: trovate due foto di Pasquale Bonavota in abiti clericali e in compagnia di un prelato