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Papaglionti, il borgo fantasma in attesa di riscatto: «Albergo diffuso? Progetto realizzabile»

Le origini del borgo, la drammatica alluvione degli anni ’50 e il definitivo abbandono nel 1984. La direttrice del Museo di Zungri, Maria Caterina Pietropaolo: «Il paese e la sua storia meritano di più»

Papaglionti, il borgo fantasma in attesa di riscatto: «Albergo diffuso? Progetto realizzabile»
Foto di Papaglionti di Saverio Corigliano

Borghi fantasma. Paesi svuotati da migrazioni ma anche eventi naturali che hanno portato gli abitanti a lasciare le loro case per trasferirsi altrove. Oggi non restano che abitazioni diroccate e strade vuote. Papaglionti, nel Vibonese, è uno di questi centri. Ad oggi conta un centinaio di residenti. L’agricoltura è dominante ma, chi è rimasto, vive principalmente di ricordi. Ne abbiamo ripercorso la storia con Maria Caterina Pietropaolo, direttore del Museo della civiltà contadina di Zungri: «A poche centinaia di metri dal nuovo centro abitato sorge il vecchio centro, abbandonato giù nella valle il sabato santo del 1984 (foto di Saverio Corigliano) quando i pochi abitanti rimasti si traferirono nelle loro nuove case costruite attorno ad una piazza centrale ed alla nuova chiesa di San Pantaleone». Un “trasloco” che segnò profondamente la comunità: «Non ebbero altra scelta. L’ultimo disastro provocato dall’alluvione del 1952 minò dalle fondamenta la stabilità delle vecchie costruzioni e mise in ginocchio la già fragile economia locale».

L’alluvione e il nuovo paese

Di quanto accadde in quel periodo, esiste documentazione ufficiale: «Intorno agli anni ’60, l’allora sindaco di Zungri scriveva al ministro per il Mezzogiorno: “Lei Eccellenza mi chiede notizie circa gli abitanti di questo disgraziatissimo villaggio. Ebbene, posso dirLe che se non fosse per il loro protettore san Pantaleone e per il parroco che dedica loro la sua vita, si potrebbe ben dire che cielo e terra si sono dimenticati di questa povera gente…”. Lo Stato decise allora di costruire un nuovo centro sulla collina, sul terreno davanti all’ottocentesco palazzo di campagna dei marchesi Di Francia». Ma le origini dell’antico abitato di Papaglionti partono da lontano e sono da ricercarsi nella storia del Monte Poro, di cui fa parte integrante: «Sull’origine del nome di Papaglionti – spiega la direttrice Pietropaolo -– vi sono due tesi contrapposte: una greco-bizantina che vede Papaglionti come derivante da Papaps-Leontius, personaggio ecclesiastico possessore originario del casale nel periodo medioevale, e l’altra derivante da Panta-Leontos dovuto alla presenza di una statua chiamata Paleondas posta davanti a quello che si pensa essere stato l’antico tempio della dea Cibele, riferito, probabilmente, all’edificio che si trova a ridosso del vecchio centro abitato e di cui oggi rimane solamente una enorme costruzione interrata».

Più nel dettaglio, si tratta di una cavità artificiale conosciuta anche con il nome di grotta di Trisulina o grotta di Santa Rosalia, «una struttura costruita in muratura sotto il piano di campagna, un ipogeo ubicato in un’area archeologicamente molto importante, facente parte di una costruzione molto più grande i cui resti si possono ancora intravedere sulla sommità di una collina che domina la vallata sottostante». Sull’ipogeo di Papaglionti in passato si è molto fantasticato: «Intorno ad esso sono nate numerose leggende e teorie che riguardano la sua funzione originaria e la sua storia, ma nessuna di esse è suffragata da indagini accurate e da scavi archeologici». Per diversi anni si è discussa la possibilità di rendere il borgo un attrattore turistico. Un modo per riscrivere le sorti di un paese che ha ancora molto da raccontare: «Si era parlato di un albergo diffuso – evidenzia Pietropaolo – ed è tutta una questione di volontà. Soprattutto politica ma il solo impegno del Comune non basta. L’ente- ricordiamo- ha avuto modo negli anni di proporre in passato alcuni progetti per il recupero dell’abitato. Un dato è certo: Papaglionti vecchio e la sua storia meritano davvero di più».

La religiosità

Don Filippo Ramondino, tempo addietro, approfondì con rigore scientifico la storia del paese in occasione di un incontro pubblico dove vennero analizzate le potenzialità non ancora sfruttate del borgo. Tra gli aspetti analizzati, la radicata religiosità. «Nella vita di fede – sosteneva don Ramondino – anche oggi realtà assai medianica è la devozione al patrono san Pantaleone medico e martire, rappresentato da una statua lignea settecentesca di cui i papagliontesi celebrano la festa solenne il 27 luglio e ne ricordano il patrocinio la domenica più vicina al 5 febbraio, forse in ricordo della protezione dal terremoto del 1783. In preparazione a queste feste si celebra la novena, con preghiere e versetti, pubblicata insieme al racconto della vita del santo nel 1927 dal sacerdote Giovanni Battista Baldo, parroco di Mesiano ed economo curato di Papaglionti. Nel vecchio paese per queste occasioni la chiesa era solennemente addobbata e c’erano dipinte su cartoni alcune scene della vita del santo che venivano commentate durante le novene».

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