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Comune di Soriano: il Tar del Lazio conferma il commissariamento per infiltrazioni mafiose

Respinto il ricorso degli ex amministratori avverso le relazioni del Ministero dell’Interno, della Prefettura di Vibo e della Commissione di accesso agli atti

Comune di Soriano: il Tar del Lazio conferma il commissariamento per infiltrazioni mafiose
Il Municipio di Soriano Calabro

La prima sezione del Tar del Lazio ha confermato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose degli organi elettivi del Comune di Soriano Calabro deciso il 15 giugno dello scorso anno dal Consiglio dei ministri su proposta del Ministero dell’Interno. Respinto così il ricorso – contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’interno e la Prefettura di Vibo – presentato dall’ex sindaco Vincenzo Bartone e da cinque ex amministratori, assistiti dall’avvocato Domenico Colaci, avverso il decreto di commissariamento dell’ente per un periodo di diciotto mesi. Ad avviso dei giudici amministrativi, nel caso di specie emergono “forti condizionamenti degli apparati politici e amministrativi del Comune da parte della criminalità, integrando quegli elementi concreti ed univoci che supportano la determinazione di scioglimento. Gli episodi citati nelle relazioni della Commissione di accesso agli atti, in quella della Prefettura di Vibo e nella successiva del ministro dell’Interno vanno – ad avviso del Tar – valutati nel loro insieme, ed anche in via preventiva, in quanto funzionali “allo scopo di evitare anche solo il rischio di infiltrazione – si legge in sentenza – da parte della malavita organizzata già presente sul territorio”. Per i giudici amministrativi non emerge alcun vizio logico e alcuna incongruità nella valutazione degli elementi che hanno portato allo scioglimento degli organi elettivi dell’ente per infiltrazioni mafiose. Dinanzi alla pervasività del fenomeno criminale nella zona ed al suo tentativo di condizionare le scelte del Comune di Soriano (già sciolto una prima volta nel 2007 per infiltrazioni mafiose), per il Tar deve registrarsi “la completa inadeguatezza del vertice politico-amministrativo a svolgere i propri compiti di vigilanza e di verifica nei confronti della burocrazia e dei gestori di pubblici servizi del Comune”, laddove si registra invece una “contiguità con ambienti criminali da parte di numerosi dipendenti inseriti in uffici particolarmente esposti a rischio di corruttela e di interferenza malavitosa, come evidenziato anche dall’inerzia degli uffici comunali nei confronti di imprese ed attività riconducibili alle famiglie delle organizzazioni criminali locali”. La relazione prefettizia ha poi riportato una serie di “vicende significative di una notevole interferenza nella gestione della cosa pubblica da parte di soggetti collegati alla locale criminalità organizzata” e sono stati inoltre evidenziati i “rapporti con ambienti criminali e stretti legami familiari del vicesindaco e di alcuni dipendenti comunali”. Pesano sullo scioglimento anche alcuni legami dei sottoscrittori della lista vincente, così come i festeggiamenti alla chiusura delle urne, l’ufficio dello staff del sindaco, la mancata assegnazione di deleghe in capo ai singoli assessori e poi la gestione di alcuni appalti da parte di talune imprese locali.

La normativa in materia differente dal penale

Ancora una volta, quindi, i giudici amministrativi ben sottolineano la ratio della normativa (l’art. 143 del d.lgs. n. 267/2000) che permette di sciogliere un ente locale per fatti che non assumono alcuna rilevanza penale ma sono ugualmente significativi di rapporti e di un modus operandi che un pubblico amministratore non può permettersi poiché denotano una “situazione di condizionamento dell’ente locale da parte della criminalità resa evidente da elementi “concreti, univoci e rilevanti”. In altre parole, “l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni)” può desumersi anche quando “il valore indiziario degli elementi raccolti non è sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione”. La norma di cui all’art. 143 consente l’adozione del provvedimento di scioglimento sulla scorta di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, non limitate alle sole evenienze di carattere penale, e perciò sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, anche se di livello inferiore rispetto a quello che legittima l’azione penale o l’adozione di misure di sicurezza”. La commissione di accesso agli atti era composta dal vice prefetto Roberto Micucci, dal capitano dei carabinieri Alessandro Bui e dal tenente della Guardia di finanza Roberto Castorina.

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