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Rinascita Scott, esordio del pentito Guastalegname: «I vibonesi volevano vendere la droga agli ultrà della Juve»

Il collaboratore di giustizia nell’udienza odierna ha chiamato in causa suo padre Antonio, Nazzareno e Ivan Colace, Antonio Vacatello, Valerio Navarra, Peppone Accorinti e gli albanesi. L’interessamento dei Pesce e dei Bellocco di Rosarno per i traffici di stupefacenti in Piemonte e la chiamata con il padre che l'avrebbe invitato a non parlare di alcune cose

Rinascita Scott, esordio del pentito Guastalegname: «I vibonesi volevano vendere la droga agli ultrà della Juve»
Nel riquadro Domenico Guastalegname

di Antonio Alizzi

E’ stato il giorno dell’esordio del collaboratore di giustizia Domenico Guastalegname nel maxiprocesso Rinascita Scott. Non imputato, a giudizio si trova invece suo padre Antonio. L’esame è stato condotto dal pubblico ministero della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci. Prima una lunga premessa sulle sue vicende giudiziarie, come quella dell’omicidio di Manuel Bacco, commesso ad Asti nel 2014, delitto per il quale ha avuto una condanna a 30 anni di carcere. “Sono innocente – ha dichiarato Guastalegname – così come lo è il mio amico Jacopo Chiesi”. Nel processo per l’assassinio di Manuel Bacco era imputato anche Giuseppe Antonio Piccolo di Nicotera e sul suo conto il collaboratore ha oggi dichiarato in aula: Appartiene alla famiglia Mancuso ed è vicino a Nazzareno Colace”. I due Guastalegname – padre e figlio – si pentono perché trovano ingiusto che siano stati condannati soggetti, tra cui Domenico Guastalegname, che – a loro dire – non c’entrano nulla con l’omicidio commesso in Piemonte. “La Procura di Asti – ha spiegato il pentito – non ha mai sentito mio padre che mi aveva già manifestato la volontà di collaboratore di giustizia sin da quando era nel carcere di Vercelli. Cosa che mi fu ribadita nella casa circondariale di Biella. Qui eravamo insieme, poi sono stato trasferito a Ferrara dopo l’inizio della sua collaborazione”. [Continua in basso]

Le minacce ai familiari

Domenico Guastalegname

Domenico Guastalegname ha poi riferito in ordine alle minacce che sarebbero giunte alla sua famiglia dopo il suo pentimento. “Hanno tirato in mezzo anche mio figlio, una cosa inaccettabile. Mia madre è finita in ospedale al Pronto soccorso a causa di una crisi d’ansia”. Quindi ha aggiunto: “Questa non è ‘ndrangheta”.

Il pm Annamaria Frustaci ha allora chiesto se prima di collaborare con la giustizia avesse avuto modo di parlare con suo padre: “Prima di intraprendere questo percorso avevo preso qualche giorno di tempo, ho fatto una videochiamata con mio padre, la mia intenzione era quella di chiarire la mia posizione rispetto ai reati che ho effettivamente commesso”. Per parlare con il pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo, Domenico Guastalegname aveva presentato una richiesta: “La presentai tra luglio-agosto del 2022. Ero orientato a collaborare, volevo chiarire tutta la mia posizione, avevo necessità però di parlare con mia moglie affinché la mia famiglia fosse sottoposta a misure speciali di protezione”.

La chiamata con il padre

Antonio Guastalegname

Il primo interrogatorio è stato svolto il 15 settembre 2022, mentre l’avvio della collaborazione con la giustizia risale al 28 settembre 2022. “La videochiamata l’ho fatta intorno al 5 settembre. Con mio padre abbiamo parlato delle sue e delle mie condizioni di salute, e gli preannunciai di aver avuto un colloquio con De Bernardo”. Il padre del pentito nella videochiamata avrebbe detto: “Devi dire la verità, ma non parlare dei cazzi miei”. Una delle vicende al centro della discussione era sicuramente quella inerente la detenzione illegale di armi. Altri riferimenti sarebbero stati fatti alla madre e moglie dei Guastalegname. “Mia madre è indagata per i procedimenti delle detenzioni dei telefonini e dicemmo “non è che l’arrestano”… “e se l’arrestano si riposa un po’…”. [Continua in basso]

Le dichiarazioni di Domenico Guastalegname

Emanuele Mancuso

“Conosco Emanuele Mancuso dal 2010, ci siamo visti in un locale a Tropea e dopo un anno a Tortona. All’epoca ci siamo sentiti per un poò, lui voleva comprare un’auto in contanti, dissi che gli avrei fatto sapere ma mio cognato, titolare di una concessionaria molto importante, non ne volle sapere. Sapevo che Emanuele Mancuso saliva e scendeva da Tortona” ha dichiarato Domenico Guastalegname il quale ha poi spiegato di aver conosciuto altre persone legate alla ‘ndrangheta vibonese, come Nazzareno Colace: “Venne nell’Astigiano tra il 2012 e il 2015, saliva e scendeva. Veniva in Piemonte perché era stretto amico con mio padre. Volevano andare a parlare con soggetti della tifoseria della Juventus per far entrare nello stadio lo spaccio di droga. Ebbero un confronto con i “Drughi”, mi riferisco sempre a Nazzareno Colace, siamo nel 2014. In quel periodo trattarono anche un carico di armi”. Armi che sarebbero state nella disponibilità di Colace e del padre di Domenico Guastalegname, oggi anche lui collaboratore.

Nazzareno Colace

Nel discorso è poi spuntato il nome di Ivan Colace: “Mio padre scese in Calabria perché chiamato da lui in quanto al Nord stava per arrivare un carico di stupefacenti bloccato successivamente dalle forze dell’ordine”. Carico che sarebbe stato organizzato da “Valerio Navarra” e che doveva arrivare a Torino “per essere consegnato alla tifoseria della Juventus, parlo sempre dei Drughi”. Il pentito in tale circostanza ha fatto anche il nome di Peppone Accorinti di Zungri, ritenuto fra i principali boss della ‘ndrangheta vibonese. “Lui aveva interesse nel settore della tifoseria della Juventus, voleva che la marijuana circolasse in quel gruppo”. Ad Asti “Valerio Navarra e mio padre rappresentavano Accorinti nel traffico di sostanze stupefacenti. Navarra l’ho conosciuto quando hanno bloccato il carico nei pressi di Lagonegro e Sala Consilina, erano dieci chili di marjiuana del tipo amnesia. Poteva essere venduta a 3-4mila euro al chilo” ha spiegato Domenico Guastalegname. [Continua in basso]

Giuseppe Accorinti

“Navarra era salito su con Antonio Vacatello. Quest’ultimo lo conoscevo per essere residente a Vibo Marina, ma non avevo confidenza con lui, mentre per un altro carico venne coinvolto Rocco Cichello che trasportava la droga con il pullman, parliamo di circa venti, trenta chili di sostanze stupefacenti. Era sempre coinvolto mio padre con Navarra per conto di Peppone Accorinti. “Questa droga era destinata ai Drughi”, ma i nomi di questi soggetti “non possono essere fatti perché c’è un’attività investigativa in corso” ha ammesso il pm Frustaci in udienza. “Avevo offerto la droga a un amico a duemila euro al chilo – ha dichiarato Guastalegname – e proveniva da Navarra, mentre con altri aveva fissato un prezzo più alto, ma non sapevo che la medesima persona a cui avevo proposto l’acquisto era la stessa che poi l’avrebbe data al soggetto che trattava con Navarra. Ne scaturì poi una situazione molto complicata, con i Pesce di Rosarno fecero da “pacieri” tra mio padre, giunto con Nino Purita, e un membro della tifoseria dei Drughi. Purita prese la pistola, perché questi dei Drughi erano attaccabrighe, l’incontro si tenne vicino al Mc Donald’s di Asti”. Della situazione sarebbe stato informato anche “Peppone Accorinti che a sua volta avrebbe parlato con i Bellocco di Rosarno”. Queste vicende risalgono al periodo 2016-2017.

I rapporti con gli albanesi

Valerio Navarra

Subito dopo nel narcotraffico sarebbero subentrati gli albanesi. “Un giro di circa 50 chili di droga. Era marijuana e una mattina Valerio Navarra si presentò a casa mia ad Asti, dicendo a mio padre che questa “erba” era stata chiesta da me. Ma non era vero, Navarra era alle strette perché non sapeva come risolvere questa situazione. Si presentò in Piemonte con i calabresi, tipo “l’avvocaticchio”, che ho riconosciuto nell’album fotografico e Pietro Grillo, e gli albanesi”.

“Il carico fu trasportato da Florin” ha dichiarato Domenico Guastalegname il quale ha poi aggiunto: “Navarra riferì agli albanesi che mio padre era suo zio e papà in quell’occasione disse che aveva le mani legate e non poteva aiutarlo. Servivano infatti più di cinquantamila euro oltre che un posto dove custodirla. Di solito il deposito era in un palazzo dove abitava la sorella di mia suocera, c’erano appartamenti disabitati di cui nessuno era a conoscenza. Non c’era neanche l’elettricità, si trovavano comunque in piazza Castello ad Asti”.

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