Rinascita Scott, il pentito Femia, Pittelli e il boss Mancuso: «Ho dato 50mila euro per corrompere un giudice»
Il collaboratore ricorda le confidenze ricevute in carcere dal capobastone di Limbadi in ordine alla possibilità di aggiustare i processi. I riscontri degli investigatori e il manoscritto sequestrato all’ex parlamentare di Forza Italia al momento del blitz
E’ stata ammessa dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia la deposizione del collaboratore di giustizia Nicola Femia, 62 anni, di Gioiosa Ionica. Si tratta di un collaboratore importante che la Dda di Catanzaro ha chiamato a deporre in ordine alla posizione dell’imputato Giancarlo Pittelli e su fatti a cui nessun altro teste ha fatto riferimento. Femia riferisce infatti di essersi rivolto all’avvocato Pittelli per poter trovare una soluzione alla grave situazione processuale in cui lo stesso si trovava, anche mediante la corruzione di un giudice. “Pittelli mi convocò a Roma nel suo ufficio in via della Lupa, n.1 e – ha fatto mettere a verbale il collaboratore – in quell’occasione mi invitò a portargli 50.000 euro a titolo di acconto in quanto mi riferiva di aver trovato il modo per poter aggiustare con l’appello la sentenza di primo grado”. Sentenza dove Femia era stato condannato a 30 anni di reclusione per traffico di droga. Femia ha in ogni caso sottolineato che in appello è stato condannato a 23 anni e 8 mesi di reclusione. “Pittelli si giustificò con me dicendomi – ha dichiarato Femia – che all’ultimo minuto, anzi il giorno precedente la sentenza di condanna, chi avrebbe dovuto intervenire si è tirato indietro restituendogli i soldi che lui, Pittelli, aveva già consegnato. [Continua in basso]
Fermia, Pittelli e Antonio Mancuso
Femia ha quindi raccontato che Pittelli sarebbe stato molto vicino ad alcuni clan della ‘ndrangheta ed in particolare a quello dei Mancuso di Limbadi. “Antonio Mancuso avendo saputo che Pittelli era mio difensore – ha dichiarato il collaboratore – si propose di intercedere lui stesso con l’avvocato Pittelli per favorire la mia scarcerazione. Mi diceva in particolare che avrebbe provveduto lui a mandare un’imbasciata a Pittelli in quanto questi era stato “portato avanti” politicamente direttamente da lui, nel senso che Mancuso aveva favorito la raccolta di voti in favore di Pittelli candidato al Parlamento. Ricordo che Antonio Mancuso mi disse che Giancarlo Pittelli era in debito con lui per questo motivo e che per tale ragione non retribuiva le sue prestazioni professionali. Ricordo che gli chiesi se poteva mettere una buona parola anche per me. Antonio Mancuso mi fece capire che il loro rapporto durava da una vita e che aveva rapporti con Pittelli in prima persona. Quando mi ha confidato che Pittelli aveva un debito di riconoscenza e che non veniva pagato in ragione di questo, utilizzava invece la prima persona, quindi non so dire – ha specificato Femia – se anche questo aspetto riguardasse l’intera famiglia. Con Antonio Mancuso parlammo di Giancarlo Pittelli proprio perché quest’ultimo era in grado di aggiustare i processi. Mi disse di non preoccuparmi perché ero in buone mani e che Pittelli avrebbe potuto risolvere i miei problemi, facendo espresso riferimento alla possibilità dell’avvocato Pittelli di avvicinare magistrati ed ottenere così provvedimenti favorevoli, anche se Mancuso non mi disse attraverso quali canali l’avvocato poteva raggiungere questo tipo di obiettivi”.
Femia ed i riscontri degli inquirenti
A riscontro di tali dichiarazioni, la Dda ricorda che – come ricordato in aula anche dal maggiore dei carabinieri Fabio Vincelli nell’udienza dell’aprile dello scorso anno – nel gennaio del 2010 Nicola Femia è stato detenuto nel carcere di Spoleto unitamente ad Antonio Mancuso. “Preciso che Antonio Mancuso – ha dichiarato a verbale Femia – nel periodo di co-detenzione cautelare venne trasferito al carcere di Pisa per motivi sanitari, sebbene sapevo non necessitasse di particolari cure che richiedessero trattamenti in strutture diverse. Questo trasferimento fu agevolato sempre dall’avvocato Pittelli”. Il fatto che Antonio Mancuso fosse stato trasferito presso il carcere di Pisa è stato “riscontrato mediante la consultazione della scheda dei trasferimenti del detenuto, risultando la movimentazione dalla Casa circondariale di Spoleto a quella del capoluogo toscano”.
Ad ulteriore riscontro circa l’attendibilità delle dichiarazioni di Nicola Femia, gli investigatori hanno altresì verificato che all’epoca effettivamente Giancarlo Pittelli risultava il difensore di fiducia di Antonio Mancuso. La consultazione del fascicolo personale di Antonio Mancuso ha infatti permesso di individuare un’istanza redatta proprio da Giancarlo Pittelli in favore di Antonio Mancuso, rivolta al Magistrato di Sorveglianza di Catanzaro in epoca pressoché coincidente con il movimento carcerario, essendo datata 10 settembre 2010”.
Il teste Vincelli ha inoltre ricordato in aula che il nome di Nicola Femia “è presente nel manoscritto che viene rinvenuto il 19 dicembre 2019 nel momento dell’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare relativa a Rinascita Scott”.
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