Processo Adelfi a Vibo, il pentito Furfaro: «Campisi ucciso da Signoretta e Peppe Mancuso»
Le rivelazioni del collaboratore di giustizia di Gioia Tauro dinanzi al Tribunale collegiale. Il broker della cocaina di Nicotera avrebbe pagato con la vita l’aver tenuto nascosti al boss Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere”, i traffici di stupefacenti
Ha indicato mandanti ed esecutori di uno dei delitti “eccellenti” avvenuti nel Vibonese e ad oggi rimasto impunito: quello del broker della cocaina Domenico Campisi, ucciso il 17 giugno 2011 sulla strada provinciale per Nicotera mentre si trovava in auto. Arcangelo Furfaro di Gioia Tauro, già vicino al clan Molè, ha ribadito le sue verità dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo nel corso del processo Adelfi che mira a far luce su un vasto narcotraffico internazionale. Le sue prime dichiarazioni su tale fatto di sangue risalgono al 2015 ma ad oggi sull’omicidio di Domenico Campisi – al pari dell’omicidio di Vincenzo Barbieri (ucciso a San Calogero nel marzo 2011) – non è stata fatta luce. Arcangelo Furfaro ha quindi ieri in udienza ribadito per la prima volta in aula le sue conoscenze su tal fatto di sangue che ha incrinato i rapporti fra le diverse articolazioni della ‘ndrangheta vibonese ed in particolare del clan Mancuso. [Continua in basso]
Le dichiarazioni di Furfaro in aula
“Mi occupavo di traffico di stupefacenti – ha esordito Furfaro – dal 2008 al 2012, anno in cui è scattata l’operazione Mediterraneo. Collaboro invece con la giustizia dal 2015 ed ho avuto contatti con Pantaleone Mancuso, detto l’Ingegnere, di Nicotera, con suo figlio Giuseppe Mancuso, e con Domenic Signoretta di Ionadi. Giuseppe Mancuso l’ho conosciuto nel 2009 a Roma a casa di Domenic Signoretta. In seguito io e lo stesso Signoretta siamo andati a vivere insieme in altro appartamento a Roma, a Tor Vergata, e ci occupavamo di traffico di stupefacenti. In particolare trafficavamo hashish con il Marocco, marijuana con l’Albania e cocaina dal Sud America. Giuseppe Mancuso ha anche soggiornato a casa mia e di Signoretta a Roma. Lui saliva spesso a Roma per venire a trovare Signoretta e prelevava hashish nella misura di 40, 50 chili. Pantaleone Mancuso, detto l’Ingegnere – ha ricordato ancora Furfaro – l’ho invece incontrato una sola volta su invito di Domenic Signoretta ed in tale occasione mi chiese se lo potevo aiutare a far sbarcare un carico di cocaina che doveva arrivare al porto di Gioia Tauro, in quanto per il successivo trasporto e fuoriuscita dal porto se la sarebbe vista lui. Io però non accettai perché i Molè di Gioia Tauro, ai quali io ero legato, con lui non andavano d’accordo, a differenza di altri componenti della famiglia Mancuso. Questo prima che uscisse dal carcere Luigi Mancuso che mise invece d’accordo tutti i rami della famiglia. Pantaleone Mancuso all’epoca gestiva e comandava Nicotera superiore”.
L’omicidio di Domenico Campisi
“Quando eravamo nella capitale – ha continuato Furfaro –a me e Domenic Signoretta ci arrivò la richiesta per una fornitura di cocaina che io recuperai da Pino Galluccio di Gioia Tauro il quale me la consegnò sino a Roma. Non si trattava di cocaina di buona qualità ed allora chiesi a Galluccio dove l’avesse presa. Lui mi disse che gli era stata data da Domenico Campisi di Nicotera. Domenic Signoretta è allora sceso in Calabria ed ha riferito il tutto a Pantalone Mancuso, detto l’Ingegnere, il quale non gradì la cessione di cocaina, in più di pessima qualità, che Domenico Campisi aveva fatto a Galluccio di Gioia Tauro. Quando Domenic Signoretta tornò a Roma – ha riferito ancora il collaboratore – io gli spiegai che Mommo Molè (cl. ’60) di Gioia Tauro aveva un comparaggio con Domenico Campisi e non lo voleva toccato, ma Signoretta riscese ugualmente giù in Calabria ed io appresi dalla televisione che Domenico Campisi era stato ucciso in un agguato. Quando Domenic Signoretta è risalito a Roma, mi fece prima cenno con le mani che Domenico Campisi era stato ucciso e poi mi disse chiaramente che l’omicidio era stato fatto matrialmente da lui stesso e da Giuseppe Mancuso, figlio di Pantaleone, detto l’Ingegnere”.
La mancata cessione di cocaina al gruppo di Pantaleone Mancuso, detto l’Ingegnere, da parte di Domenico Campisi e la cessione di stupefacente invece a persone di Gioia Tauro, unitamente all’aver tenuti nascosti tali traffici di stupefacenti, sarebbe quindi uno dei motivi alla base dell’omicidio del broker della cocaina di Nicotera, in quel periodo vicino all’altro broker della cocaina – Franco Ventrici di San Calogero – unitamente a Vincenzo Barbieri (ucciso qualche mese prima, nel marzo 2011). Secondo le ultime risultanze investigative delle Dda di Reggio Calabria e Catanzaro, le “confessioni” di Arcangelo Furfaro sull’omicidio di Domenico Campisi avrebbero scatenato la reazione di Antonio Campisi (figlio di Domenico) che, per vendicare il padre, si sarebbe fatto aiutare dal giovane Rocco Molè di Gioia Tauro (figlio dell’ergastolano Mommo) preparando un agguato a Nao di Jonadi contro il 38enne Domenic Signoretta, quest’ultimo rimasto illeso nel cortile di casa nonostante numerosi colpi d’arma da fuoco esplosi la sera del 19 maggio 2019.
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