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‘Ndrangheta: clan dei Piscopisani, restano detenuti cinque condannati

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i loro ricorsi avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta dal Tribunale di Vibo già dopo la lettura del dispositivo della sentenza

‘Ndrangheta: clan dei Piscopisani, restano detenuti cinque condannati

La Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi avverso la decisione del Tribunale di Vibo Valentia di ripristinare la custodia cautelare in carcere nei confronti di cinque imputati condannati in primo grado nel luglio scorso al termine del processo denominato Rimpiazzo contro il clan dei Piscopisani. In particolare restano in carcere: Francesco Felice, 29 anni, di Piscopio, alias “Citolla” (condannato a 13 anni ed 8 mesi), Benito La Bella, 35 anni, di Piscopio (condannato a 13 anni e 11 mesi) che sono stati ritenuti dal Tribunale partecipi all’associazione mafiosa dei Piscopisani e vicini a Rosario Fiorillo, alias Pulcino, posto al vertice dell’organizzazione. Respinti anche i ricorsi di: Domenico D’Angelo, di 60 anni, di Piscopio, condannato a 10 anni; Giuseppe D’Angelo, di 49 anni, di Piscopio, condannato a 10 anni e 4 mesi; Angelo David, di 39 anni, di Piscopio, condannato a 10 anni. Per la Cassazione, i gravi indizi di colpevolezza, necessari per l’applicazione di una misura cautelare, “possono essere desunti anche dal semplice dispositivo di una sentenza di condanna, ancorché non sia stata ancora depositata la motivazione”. Inoltre tutti i ricorsi si sono risolti “nella richiesta di rivalutare le emergenze probatorie disponibili a fine di effettuare una valutazione alternativa circa la sussistenza delle esigenze cautelari” e da qui la loro inammissibilità. [Continua in basso]

Le accuse e la sentenza di primo grado

Francesco Felice

Ad accusare Francesco Felice e Benito La Bella anche i collaboratori di giustizia Raffaele Moscato e Bartolomeo Arena, con quest’ultimo che ha indicato Benito La Bella come inserito nel traffico di stupefacenti e negli ultimi tempi “particolarmente legato a Giovanni Franzè di Stefanaconi per l’acquisto di stupefacente ed a Filippo Fiarè di San Gregorio d’Ippona”. E sempre Bartolomeo Arena rivelava: “Benito La Bella è proprietario a Vibo di un locale che si chiama Mamma non vuole ed era proprietario pure, ma non so se in maniera occulta, di un centro scommesse a Catanzaro Lido”. Ad avviso del Tribunale, sia per Francesco Felice che per Benito La Bella era prossima l’iniziazione rituale alla ‘ndrangheta con il “battesimo” nel locale di Piscopio. “Oltre al dichiarato di Arena, rileva specificamente – scrivono i giudici in sentenza – il contenuto dell’attività tecnica che indica la partecipazione di Benito La Bella a riunioni coi sodali in cui si pianifica attività delittuosa di contenuto estorsivo”.

Angelo David, alias “Giotto” (condannato a 10 anni) è stato ritenuto dai giudici partecipe alla “Società minore” dei Piscopisani con il grado di “picciotto” ed in procinto di ricevere la dote di “sgarrista”, con compiti diretti nel campo dei reati contro il patrimonio, partecipando a delitti di rapina e danneggiamento consumati nell’interesse dell’associazione. Inoltre avrebbe custodito ed occultato le armi del sodalizio. Anche contro di lui le dichiarazioni di Raffaele Moscato, unitamente al quale Angelo David è stato ritenuto responsabile di aver compiuto delle rapine. Cognato di Stefano Farfaglia (pure lui condannato a 10 anni), Moscato e Bartolomeo Arena hanno accusato entrambi di aver anche commesso un omicidio sul quale vige ancora il segreto investigativo. Angelo David insieme a Stefano Farfaglia sono stati quindi ritenuti degli azionisti del clan dei Piscopisani. Secondo Arena, inoltre, proprio ad Angelo David si sarebbe rivolto Salvatore Morelli di Vibo Valentia, alias “l’Americano, per pestare alcuni imprenditore da sottoporre ad estorsione. [Continua in basso]

Giuseppe D’Angelo

Altresì provata per i giudici la partecipazione all’associazione mafiosa mafiosa dei Piscopisani da parte dei cugini Giuseppe D’Angelo, di 48 anni, di Piscopio, alis “Pino Il Biricchino”, condannato a 10 anni e 4 mesi; Domenico D’Angelo, di 59 anni, di Piscopio, alias “Zio Lupo”, condannato a 10 anni. Giuseppe D’Angelo avrebbe avuto il grado mafioso di “punteruolo”, mentre Domenico D’Angelo quello di “picciotto”. Avrebbero entrambi preso parte attiva alla riunioni del clan, con Giuseppe D’Angelo che avrebbe messo a disposizione la propria abitazione mentre Domenico D’Angelo avrebbe partecipato alle riunioni in cui il clan dei Piscopisani decideva le strategie criminali da seguire in ordine alla guerra di mafia contro il clan Patania di Stefanaconi, nonché le fasi propedeutiche al tentato omicidio ai danni di Andrea Patania, reperendo l’autovettura che sarebbe stata utilizzata per l’attentato.

Domenico D’Angelo

Giuseppe D’Angelo avrebbe inoltre raccontato il falso circa il fatto che il giorno dell’omicidio di Fortunato Patania, Francesco La Bella (ritenuto in separato processo come uno degli esecutori materiali dell’omicidio insieme a Moscato) si trovasse con lui ai funerali a Piscopio di Michele Mario Fiorillo. Contro i due D’Angelo, oltre alle dichiarazioni di Raffaele Moscato, anche quelle di Bartolomeo Arena e Andrea Mantella.

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