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Il Pennello di Vibo e il Chiosco Azzurro: una storia di silenzi e omissioni anche da parte delle istituzioni

All’indomani dell’abbattimento dell’immobile di Francolino a cui lo Stato deve comunque pure dei “grazie” e delle “scuse”, restano diversi gli interrogativi inevasi che si pone l’opinione pubblica così come si attende che qualcuno fornisca risposte a quanto sollevato dall’avvocato Albanese sulla sdemanializzazione dell’area sin dal 1973

Il Pennello di Vibo e il Chiosco Azzurro: una storia di silenzi e omissioni anche da parte delle istituzioni
La recinzione pericolante in piazza Capannina a Vibo Marina per la quale sono stati spesi fior di soldi pubblici. In fondo il Chiosco Azzurro oggetto di demolizione

Ed ora viene il difficile e la parte più complicata per quanti si sono posti in prima fila per ribadire il ripristino della legalità in un territorio dove sono stati consumati scempi ambientali che non possono di certo dirsi conclusi con la demolizione del solo Chiosco Azzurro”. Sono più o meno di tale tenore i commenti giunti da più parti alla nostra redazione dopo l’abbattimento dello storico Chiosco Azzurro in piazza Capannina nel quartiere Pennello di Vibo Marina. “Un immobile brutto anche a vedersi – ci ha tenuto a sottolineare il prefetto di Vibo, Roberta Lulli – e dove in questo caso legalità coincide pure con bellezza”. Parole da condividere, ma con una serie di “ma” che andiamo ad analizzare, perché la questione Pennello così come quella dell’abusivismo nel Vibonese, ed in particolare lungo la costa, è molto più complessa. [Continua in basso]

Il Chiosco Azzurro in una vecchia foto

Il “Chiosco Azzurro”– sebbene in forma diversa come si può facilmente vedere dalle storiche foto dell’area che pubblichiamo – esiste sin dal 1953 (così ha scritto il Tar in sentenza) e cioè da quando tutto intorno altro non vi era che una splendida spiaggia ed un parcheggio regolarmente asfaltato in quella che oggi è piazza Capannina dove per tutti gli anni ’50, ’60 e ’70 intere generazioni di vibonesi erano soliti recarsi a mare. Lo scempio ambientale ancora non esisteva, così come l’edificazione selvaggia e fuori da ogni regola compiuta negli anni ’70 ed ’80, proprio mentre “qualcuno” avanzava nella propria carriera parlamentare e di uomo di Governo, venendo oggi ricordato come “grande statista” (con tanto di premi annuali alla memoria) anche dagli stessi che ieri erano in prima fila a plaudire all’abbattimento del Chiosco Azzurro.

Il Chiosco Azzurro e la spiaggia negli anni ’60

Viene da chiedersi dove stavano e cosa guardavano i politici dell’epoca (in parte padri politici di quelli attuali) quando veniva realizzato un intero quartiere abusivo proprio intorno al Chiosco Azzurro (ed anche quasi un’intera frazione come Bivona) e se la c.d. “legge Murmura” altro non sia stata che un “colpo di spugna” e quindi la certificazione del fallimento dello Stato che, anziché far sentire all’epoca la propria forza dinanzi a costruzioni abusive, ha preferito chiudere un occhio (ed anche più di uno) in cambio del consenso elettorale. [Continua in basso]

Il punto centrale nell’abbattimento del Chiosco Azzurro – insieme alla sdemanializzazione dell’area sin dal 1973 (cioè da quando la legge Murmura ne ha sancito la sclassifica) – sta proprio tutto qui, al di là di chi ha voluto sfruttare persino le “legnate” prese dall’assessore all’Urbanistica Pasquale Scalamogna – al quale va tutta la nostra solidarietà e vicinanza – per strumentalizzare politicamente l’accaduto. Perché è facile dire che “il contrasto ad ogni forma di abusivismo e di illegalità diffusa era e resterà sempre in cima all’agenda politica dell’esecutivo” targato Maria Limardo, ma poi occorrono i fatti concreti e, soprattutto, occorre dare risposte ad interrogativi sinora inevasi. Quali? A quelli sollevati, ad esempio, da una persona perbene e al di sopra di ogni sospetto come l’avvocato Giovanna Fronte che da anni assiste testimoni e collaboratori di giustizia (LEGGI QUI: “Caso” Francolino, l’avvocato Fronte: «Il carnevale a Vibo con il carro di Pinocchio sulle ceneri del Chiosco Azzurro» ), ma anche ad altri interrogativi sollevati dallo stesso Giuseppe Francolino nel settembre del 2021 quando l’abbattimento del “Chiosco Azzurro” era già stato “dipinto” come una nuova pagina di legalità per Vibo e provincia, salvo dimenticare il fatto che nel frattempo il Tar (a proposito di legalità…) aveva accolto la sospensiva all’abbattimento imponendo uno stop. Nel caso dell’abbattimento di ieri si è preferito non aspettare il pronunciamento nel merito da parte del Consiglio di Stato (ricorso presentato dagli avvocati Marco Talarico e Gioconda Ceravolo) che ha comunque respinto la richiesto di sospensiva confermando la decisione del Tar: l’immobile è abusivo e va abbattuto. E su questo non ci sono dubbi (salvo il Consiglio di Stato non ribalti la sentenza del Tar ed in quel caso Francolino dovrà essere risarcito economicamente). Rimarchiamo ciò perché non è la prima volta che il Comune di Vibo demolisce qualcosa e poi il Consiglio di Stato decide che l’abbattimento non doveva esserci.

Giuseppe Francolino

La stessa sentenza del Tar ha posto poi l’accento su alcuni dati di fatto ai quali le istituzioni non possono non fornire risposte e, in primis, le istituzioni politiche che ieri si sono affrettate a ribadire che “il contrasto ad ogni forma di abusivismo e di illegalità diffusa era e resterà sempre in cima all’agenda politica dell’esecutivo”. Come è stato infatti possibile che il Comune di Vibo Valentia, dinanzi ad un manufatto abusivo, abbia prima firmato il nulla osta all’agibilità dei locali e poi dato a Francolino pure la licenza per l’esercizio di un’attività commerciale (il bar con la somministrazione di alimenti e bevande) su un manufatto che rappresentava uno scempio edilizio e ambientale? Tale ultima circostanza non incide sull’abusività del Chiosco Azzurro – e su questo il Tar è stato più che chiaro – , ma i dirigenti comunali che hanno concesso la licenza per l’attività commerciale a Francolino su un immobile abusivo ed hanno anche dato in nulla osta per l’agibilità dei locali (salvo poi ritirarla) dove sono? L’esecutivo comunale li ha individuati? [Continua in basso]

Perché all’indomani della demolizione del Chiosco Azzurro, se non si parte proprio da qui e cioè dall’individuazione delle responsabilità politiche (prima ancora che, eventualmente, penali) – non si va davvero da nessuno parte e la giornata di ieri rischia di trasformarsi in un’inutile “passerella” che rischia di essere vista dai cittadini e dall’opinione pubblica come una prova “muscolare” nei confronti di un soggetto debole come Giuseppe Francolino (la cui reazione nei confronti dell’assessore Scalamogna è comunque ingiustificabile “senza se e senza ma” e ciò va ribadito) a cui in ogni caso lo Stato deve dire anche “Grazie” e chiedere “scusa”. “Grazie” perché ci sono sentenze penali di condanna (“In nome del Popolo Italiano”) nei confronti di soggetti responsabili di usura ed estorsione che sono stati condannati solo per via delle sue dichiarazioni rese agli inquirenti e ribadite nei processi (vedi operazione Odissea).

“Scusa” perché non bisogna dimenticare che nel 2017, dopo la sospensione della licenza al Chiosco Azzurro (motivata dal Comune con i pericoli derivanti dall’erosione costiera per i quali proprio Giuseppe Francolino aveva per primo aveva chiesto alle istituzioni di intervenire), l’allora sindaco Elio Costa prima firmò un’ordinanza di sgombero per Francolino e famiglia (moglie e due bambini) che avevano adibito parte del Chiosco Azzurro a civile abitazione, poi il Comune assegnò a Francolino, in via provvisoria, un bilocale piccolo e vetusto nel quale l’ex collaboratore di giustizia non ha inteso far vivere i propri figli. Dopo le proteste di Francolino direttamente con il sindaco Costa, espresse anche attraverso il suo avvocato Giovanna Fronte, l’allora comandante della polizia municipale Filippo Nesci (che due anni dopo sarebbe finito nell’inchiesta Rinascita Scott) gli mise a disposizione un immobile confiscato ad un elemento di spicco di un clan, pretendendo così il Comune di Vibo che un ex collaboratore di giustizia andasse ad abitare la casa tolta ad un boss della ‘ndrangheta (dove nessuno voleva andarci per paura di ritorsioni) sol perché non aveva accettato il bilocale ritenuto una topaia. Come se non bastasse tutto ciò, in seguito a Francolino era stata assegnata una casa popolare (un bilocale) a Portosalvo nella stessa strada (via Roma) dove risiedono, fra gli altri, anche diversi esponenti della “famiglia” Tripodi  coinvolti nell’operazione antimafia “Lybra”oltre a Nazzareno Colace, coinvolto nell’operazione antimafia “Odissea” (e nell’omicidio Covato), cioè la medesima inchiesta in cui sono confluite pure le dichiarazioni di Francolino rese alla Dda di Catanzaro.

La “vicenda Francolino”, dunque, è molto più complessa di come è stata ieri frettolosamente liquidata da qualcuno e merita serie riflessioni, al di là della demolizione del “Chiosco Azzurro”. E, ritornando gli interrogativi iniziali posti dallo stesso Francolino nel maggio 2021, si aspettano ancora risposte dalle istituzioni relativamente alla sua pubblica denuncia in ordine alla presenza di presunti immobili abusivi nel quartiere Pennello di proprietà di dirigenti del Comune di Vibo ed anche risposte sulle verifiche richieste per situazioni di abusivismo nei pressi del castello di Vibo Valentia. 

Una parte del quartiere Pennello

Restano inevasi, poi, gli interrogativi – ben più seri – sollevati sulla nostra testata il 3 febbraio scorso dall’avvocato Michele Albanese del Foro di Reggio Calabria a proposito del “raggiro” che si sta consumando nel quartiere Pennello di Vibo Marina con una sdemanializzazione che continua ad essere ignorata dalle istituzioni. Una denuncia forte per la quale l’avvocato si sta scontrando da tempo – almeno dal 2019 – con un “muro di gomma”, laddove ci si trova invece dinanzi a beni pubblici inalienabili oggetto di un atto di compravendita affetto da nullità assoluta (l’intero quartiere Pennello ha cessato di essere demanio sin dal 1973) e richieste alle istituzioni di essere ascoltato – Capitaneria, sindaco di Vibo, Procura e Corte dei Conti – rimaste sinora senza risposte.

Il legale ha inoltre chiesto pubblicamente spiegazioni sull’illecita acquisizione da parte di privati di immobili aventi natura demaniale e surrettiziamente inseriti nell’atto di vendita del 2012 intervenuto tra il Demanio e il Comune di Vibo”, sottolineando il fatto che a beneficiare di una surrettizia sdemanializzazione e cessione al Comune di Vibo dei beni da loro occupati – finalizzata a consentire a costoro di divenirne proprietari allorquando l’Ente si determinerà a trasferire detti beni agli occupanti – ci sarebbe pure una dirigente comunale (LEGGI QUI: Il raggiro del Pennello di Vibo Marina e la sdemanializzazione ignorata dalle istituzioni. Intervista all’avvocato Albanese). Ed allora, rilanciando gli interrogativi posti dall’avvocato Michele Albanese, i rappresentanti delle istituzioni ieri presenti alla demolizione del Chiosco Azzurro si sono posti il problema – alla luce del Consiglio di Stato e della sospensiva concessa ai Dragone-Vinci (su ricorso dell’avvocato Domenico Colaci) ai quali il Comune di Vibo aveva ingiunto la demolizione di alcuni manufatti –  che l’intera area possa non essere demaniale e che quindi ci si trovi dinanzi a provvedimenti demolitori ingiusti e illegittimi?

Ben venga quindi, sia chiaro, la demolizione delle opere abusive su tutto il territorio comunale e provinciale dopo anni di scempi ambientali, ma nel rispetto davvero della legalità (e del “bello”, riportandoci alle parole del prefetto), ma non voltando lo sguardo dinanzi ad altri immobili abusivi ben più vistosi del Chiosco Azzurro (proprio alle spalle dello stesso) e anche dinanzi ad opere pubbliche inguardabili (a proposito del “bello”…) e per di più crollate a soli venti metri dal Chiosco Azzurro.
Qualcuno, allora, proprio all’indomani della demolizione, inizi adesso a ricevere l’avvocato Michele Albanese che ha chiesto con tanto di Pec da oltre due anni di poter conferire (con Capitaneria, Procura e sindaco) su fatti di assoluta gravità intorno alla vicenda dell’intero quartiere Pennello dove rischia di consumarsi una vera e propria colossale truffa ai danni dello Stato.
La Storia, del resto, si sa che non si può nutrire a lungo di silenzi e, prima o poi, qualcuno la metterà nero su bianco come ha già iniziato a fare il Consiglio di Stato con la sospensiva concessa ai Vinci-Dragone. Seguiremo.

LEGGI ANCHE: Il raggiro del Pennello di Vibo Marina e la sdemanializzazione ignorata dalle istituzioni. Intervista all’avvocato Albanese

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