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Ospedale di Vibo, dall’attesa in barella alla Tac rotta: l’odissea di un 85enne

La denuncia dei familiari dell'anziano costretto al trasferimento in altri nosocomi per effettuare un esame diagnostico e un ricovero mai avvenuto per mancanza di posti letto

Ospedale di Vibo, dall’attesa in barella alla Tac rotta: l’odissea di un 85enne
L'interno del Pronto soccorso di Vibo
L’ingresso del Pronto soccorso dell’ospedale di Vibo

“I cittadini della provincia di Vibo Valentia fanno costantemente le spese per la carenza o il malfunzionamento di strumentazioni diagnostiche, specie nei casi urgenti per i quali dalla tempestività della diagnosi dipende la vita dell’ammalato”. A denunciarlo è una familiare del signor Lucio Attilio Marchese il quale, dopo essersi sentito male nel proprio appezzamento di terreno situato nella città capoluogo, è stato accompagnato dai suoi cari al Pronto Soccorso dell’ospedale di Vibo Valentia verso le ore 14 dello scorso 3 febbraio – per una “sincope” – e lì vi è rimasto per  sei ore in attesa di diagnosi. Le prime sei, per l’esattezza, delle 48 ore che il signor Lucio, 85 anni, ha trascorso su una barella in preda a forti dolori e trasportato da un ospedale all’altro. Ma andiamo con ordine. [Continua in basso]

Marianna Rodolico

Per motivi non ancora del tutto chiari ai parenti, al Pronto Soccorso dello Jazzolino “probabilmente non hanno ben valutato il rischio a cui era sottoposto il paziente già affetto da pregresse patologie anche cardiovascolari e si è atteso troppo prima di capire il da farsi. La svolta è arrivata al cambio turno – ha spiegato Anna Grillo, avvocato del Foro di Vibo e familiare di Marchese – quando ha preso servizio la dottoressa Marianna Rodolico la quale, grazie a un’attenta valutazione dei sintomi e un esame ecografico all’addome, ha ritenuto necessaria e urgente l’esecuzione di una Tac con mezzo di contrasto per sospetta dissecazione dell’aorta addominale”. Ed è in quel momento che l’ammalato e i suoi parenti apprendono sgomenti che – allo stato attuale – nel territorio della provincia di Vibo Valentia non è possibile effettuare esami di questo tipo poiché gli apparecchi in dotazione ai nosocomi di Vibo Valentia e Serra San Bruno non sono funzionanti. Tuttavia, “il presidio sanitario di Tropea – ha aggiunto Anna Grillo – è l’unico con strumentazione funzionante, ma non si poteva effettuare la Tac con mezzo di contrasto e non si è compreso per quale motivo. Come se non bastasse, ci si è messa pure la burocrazia di mezzo ad aggravare la già complicata situazione, poiché gli ospedali più vicini hanno fatto resistenza ad accogliere Lucio adducendo come motivazione la mancanza di un protocollo alternativo all’esecuzione della Tac con mezzo di contrasto fuori presidio. Solo grazie alla dedizione e la combattività della dottoressa Rodolico si è riusciti a sbloccare, dopo numerosi tentativi, la situazione nella disperazione più totale di tutti noi parenti e dell’ammalato che è stato trasferito in ambulanza fuori provincia, precisamente all’ospedale di Lamezia Terme”.

“Giunto nel nosocomio lametino, alle due di notte e dopo dodici ore di attesa, – ha aggiunto la familiare del paziente – è stata effettuata la Tac con mezzo di contrasto che ha confermato i sospetti della dottoressa Marianna Rodolico: dissecazione dell’aorta addominale. Patologia che per un puro caso non è stata fatale per Lucio, il quale non ha potuto avere diagnosi tempestiva per la vergognosa carenza di strumentazione diagnostica di cui soffre l’ospedale di Vibo Valentia che non può più essere tollerata da una società civile che ha diritto alla tutela della propria salute a Milano come a Vibo Valentia senza distinzioni di sorta”. Il paziente è rimasto due giorni su una barella facendo la spola dall’ospedale di Vibo a quello di Lamezia, fino a Catanzaro e da quest’ultimo nuovamente allo Jazzolino. “Non è stato possibile procedere con il ricovero per mancanza di posti letto – ha concluso la familiare del signor Lucio Marchese – e ritenendo inaccettabile la soluzione dell’attesa in barella, dopo oltre 48 ore di sfinimenti vari, si è optato per le cure domiciliari”. L’ottantenne ha così firmato le dimissioni per fare rientro nella propria abitazione e ricorrere alle cure private. I parenti dell’ammalato, esasperati, si sentono in dovere di denunciare questo “grave e inaccettabile disservizio dovuto all’assenza o al malfunzionamento di strumentazioni per esami dai quali dipende la vita dei pazienti, nella speranza che nessun altro debba trovarsi nella stessa situazione vissuta da Lucio.

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