Il Porto di Tropea in mano ai clan: protezione e sostegno in cambio di soldi
Il ristoratore, Ferdinando La Monica, responsabile del Marina yacht club, accusato dalla Dda di aver fatto da tramite tra Antonio La Rosa e Domenico Polito con l'imprenditore Aristide De Salvo per consigliarlo di pagare
di Francesco Altomonte
Protezione e sostegno in cambio di soldi. È il “pacchetto” completo che il clan La Rosa vendeva per garantire serenità all’interno del porto di Tropea all’imprenditore che avevano investito nell’importante struttura turistica della Costa degli dei. E nelle carte vergate del gip distrettuale di Catanzaro, che ha autorizzato l’arresto di 56 persone nel Vibonese, emerge anche la figura del ristoratore, Ferdinando La Monica, responsabile del prestigioso Marina yacht club sino al 2018, accusato dall’antimafia di essersi fatto da tramite tra Antonio La Rosa e Domenico Polito con l’imprenditore Aristide De Salvo per consigliarlo di pagare. Una intermediazione che è costata a La Monica l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. La vicenda è ricostruita nelle carte dell’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro. Secondo gli inquirenti, La Monica avrebbe paventato al suo datore di lavoro «una situazione di rischio per lo stesso ed offrendosi di attivare esponenti della criminalità organizzata di sua conoscenza allo scopo di ottenere protezione, previo pagamento di un importo in denaro, da prelevare dagli incassi dei locali di sua proprietà». A sostegno della tesi di accusa, gli inquirenti portano una serie di conversazioni captate dagli investigatori della polizia che hanno condotto le indagini: «Dai contenuti delle conversazioni – si legge nell’ordinanza – emerge allora il ruolo di intermediario del La Monica, il quale risultava il punto di riferimento delle attività economiche e delle somme di denaro da acquisire da parte dell’articolazione riconducibile ai La Rosa».
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