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Maxiprocesso Rinascita Scott: la Dda chiede di sentire altri dieci collaboratori di giustizia

I racconti, in parte inediti, sul ruolo del penalista ed ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli sino alla richiesta di nuove prove contro i clan Bonvota e Cracolici e gli imputati Ferrante e De Rito

Maxiprocesso Rinascita Scott: la Dda chiede di sentire altri dieci collaboratori di giustizia
L'aula bunker dove si sta celebrando il maxiprocesso e nel riquadro il pm Antonio De Bernardo con il procuratore Nicola Gratteri
Giancarlo Pittelli

Ancora dieci collaboratori di giustizia da sentire nel maxiprocesso Rinascita Scott che si sta svolgendo in aula bunker a Lamezia Terme dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Ad avanzare la richiesta è stato il pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, che ha richiesto l’ammissione di nuove prove ai sensi dell’art. 507 del codice di procedura penale. Un’escussione necessaria per rafforzare in particolare l’impalcatura accusatoria nei confronti degli imputati Giancarlo Pittelli (avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia), Gianfranco Ferrante (imprenditore di Vibo Valentia) e Mario De Rito (di Vena Supriore) nonché di tutti gli imputati ritenuti affiliati ai clan Bonavota di Sant’Onofrio e Cracolici di Maierato. La richiesta interessa in particolare l’escussione del collaboratore di giustizia Nicola Femia, 61 anni, di Gioiosa Ionica, chiamato a riferire quanto di sua conoscenza su fatti che interessano Giancarlo Pittelli così come i pentiti: Dante Mannolo, 54 anni, di San Leonardo di Cutro, Angelo Santolla, 61 anni, (clan Perna di Cosenza), Francesco Farao, 41 anni, di Cirò (figlio del boss Giuseppe Farao), Domenico Critelli, 75 anni, di Cariati, Nicola Acri, 43 anni, ex boss di Rossano, Marcello Fondacaro, 63 anni, di Gioia Tauro (medico e imprenditore ritenuto vicino ai clan Molè e Piromalli), Antonio Genesio Mangone, 57 anni, di Cariati il quale riferià anche in odine alla posizione di Gianfranco Ferrante. Il collaboratore di giustizia Walter Loielo, 27 anni, dell’omonima “famiglia” di Ariola di Gerocarne, è chiamato invece a deporre in ordine alla sue conoscenze sulla cosca Cracolici di Maierato e Filogaso, mentre Vincenzo Albanese, 55 anni, di Rosarno, ritenuto affiliato al clan Bellocco, dovrà riferire sulle conoscenze relative alla cosca Bonavota di Sant’Onofrio. [Continua in basso]

Entrando più nello specifico, i collaboratori di giustizia chiamati a deporre sulla posizione di Giancarlo Pittelli rientrano in un’informativa di 225 pagine redatta dai carabinieri del secondo reparto del Ros centrale.
Il nome di Nicola Femia era in particolare scritto sul foglio di carta intestata dello studio Pittelli sequestrato dal Ros. Un pentito, Femia, che non era stato esaminato nelle indagini preliminari di Rinascita Scott. L’ex “riservato” del clan Mazzaferro di Marina di Gioiosa Ionica in un interrogatorio reso il 29 ottobre 2020, riprendendo i contenuti di un altro interrogatorio risalente al 20 luglio 2017, ha affermato: «Mi convoca a Roma nel suo ufficio in via della Lupa numero 1 e in quell’occasione mi invita portargli 50.000 euro a titolo di acconto in quanto mi riferiva di aver trovato il modo per poter aggiustare con l’appello, la sentenza di primo grado». Il pentito reggino spiega anche come «Antonio Mancuso, avendo saputo che Pittelli era mio difensore, si propose di intercedere lui stesso con l’avvocato Pittelli per favorire la mia scarcerazione. Mi diceva che avrebbe provveduto lui stesso a mandare un’imbasciata al Pittelli in quanto questi era stato “portato avanti” politicamente direttamente da lui, nel senso che Mancuso aveva favorito la raccolta di voti in favore del Pittelli candidato al Parlamento».

Mannolo, Santolla, Mangone

Altro “inedito” è il narrato di Dante Mannolo, che racconta della presunta consegna di 100 milioni di vecchie lire operata dall’ex parlamentare di Forza Italia nella compravendita di un villaggio turistico: i soldi sarebbero stati consegnati al padre del collaboratore, ovvero il boss di San Leonardo di Cutro Alfonso Mannolo, per la sua mediazione nell’affare. Così come un inedito è il racconto di Angelo Santolla, “gola profonda” del clan Perna di Cosenza, che riferisce come Pittelli, in veste di avvocato, fosse accreditato in seno ai clan per la capacità di acquisire informazioni riservate. Le dichiarazioni invece più recenti sono quelle acquisite dal Ros con l’interrogatorio di Antonio Genesio Mangone, pentito di origini cosentine plurinquisito per mafia nelle regioni del Nord Italia, già detenuto con due presunti esponenti di rilievo della ‘ndrangheta vibonese: ovvero Gianfranco Ferrante di Vibo e Michelangelo Barbieri di Pannaconi. Mangone riferiva il 10 novembre 2021 che Pittelli, ad avviso di Ferrante ,fosse «uomo a disposizione della famiglia Mancuso che apriva conti correnti, faceva ottenere agevolazioni nell’ambito sanitario, affidamenti dalle banche, faceva conoscere persone importanti, come direttori di banca e anche politici». E ancora: «Gli brillavano gli occhi quando parlava di lui». E infine: «Ricordo che in molte occasioni quando Ferrante rientrava dalle udienze del processo Rinascita Scott diceva che Pittelli era il perno principale della famiglia Mancuso, nel senso che molti affari del clan e la risoluzione di problematiche varie del sodalizio passavano dalle sue mani». [Continua in basso]

L’omicidio di Mario Mirabile

Giuseppe Farao

L’asserita propensione del penalista Giancarlo Pittelli di condizionare, attraverso presunti illeciti interventi, la magistratura giudicante, viene raccontata pure da altri tre collaboratori: Francesco Farao, dell’omonimo clan cirotano, Nicola Acri, l’ex boss rossanese conosciuto come “Occhi di ghiaccio”, e Domenico Critelli, capomafia di Cariati. Sarebbe stato proprio Pittelli, secondo le accuse, a prodigarsi per l’assoluzione dei fratelli Giuseppe e Silvio Farao, padre e zio del pentito Francesco, nel processo per l’omicidio di Mario Mirabile, consumato il 31 agosto 1990 a Corigliano Calabro. Un’assoluzione per la quale sarebbe stata pagata la somma di 300.000 euro, ma poi non ottenuta dagli imputati, i quali sono stati condannati all’ergastolo. «Dopo la condanna di mio zio e di mio padre abbiamo interrotto i rapporti con Pittelli, che non ha più assistito membri della mia famiglia», ha spiegato Farao agli inquirenti. Nel dettaglio, i Farao sono stati condannati in primo grado, assolti in appello, annullamento con rinvio della Cassazione e condanne in secondo grado poi confermate dalla Suprema Corte nel 2009. I pentiti collocano la presunta azione corruttiva successivamente alla prima decisione della Cassazione che aveva annullato le assoluzioni.

Quanto infine all’appartenenza massonica «coperta» dell’ex parlamentare, un racconto inedito è rappresentato dal narrato del medico ed imprenditore di Gioia Tauro Marcello Fondacaro. Fonte delle sue conoscenze sarebbe stato Francesco Grande Aracri.

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