Processo a don Maccarone, la Dda appella la prescrizione e l’esclusione dell’aggravante mafiosa
Il pm Irene Crea non condivide la sentenza del Tribunale di Vibo nei confronti dell’allora segretario particolare dell’ex vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea. Va definitiva invece l’assoluzione di don De Luca
Si andrà in Corte d’Appello avverso la sentenza di prescrizione dichiarata dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia, presieduto dal giudice Tiziana Macrì, nei confronti di don Graziano Maccarone, 44 anni, ex segretario particolare dell’allora vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, monsignor Luigi Renzo. La Dda di Catanzaro ha infatti appellato la derubricazione in primo grado del reato di tentata estorsione in tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Derubricazione resa possibile dall’esclusione, da parte del Tribunale collegiale di Vibo Valentia, dell’aggravante mafiosa contestata all’imputato per aver – secondo l’accusa – agevolato le attività del clan Mancuso. La caduta dell’aggravante mafiosa ha permesso a don Graziano Maccarone di vedersi dichiarata nel giugno scorso prescritta l’accusa di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni ai danni di Roberto Mazzocca di Parghelia. Ad appellare la posizione di don Graziano Maccarone è stata il pm di Catanzaro, Irene Crea, che non ha invece appellato l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” incassata in primo grado da don Nicola De Luca, 42 anni, di Rombiolo (difeso dall’avvocato Giovanni Vecchio) che diviene così definitiva. Don Nicola De Luca all’epoca dei fatti era il reggente della chiesa Madonna del Rosario di Tropea e rettore del santuario di Santa Maria dell’Isola. Nel corso del processo di primo grado, il pm Irene Crea per don Graziano Maccarone aveva richiesto la condanna a 7 anni e 6 mesi di reclusione, mentre per don De Luca aveva chiesto l’assoluzione. [Continua in basso]
I due sacerdoti erano finiti sotto processo con l’accusa di aver costretto con violenza o minaccia Roberto Mazzocca a restituire una somma di denaro ammontante ad 8.950 euro, ricevuta in prestito dai due prelati, Nicola De Luca e Graziano Maccarone (rispettivamente 2.050,00 euro e 6.700 euro), per estinguere un debito originariamente contratto dal debitore e da una sua figlia con una terza persona che nel 2012 aveva ottenuto un’ordinanza dal giudice dell’esecuzione con l’assegnazione da parte della figlia di Mazzocca di beni per un valore di novemila euro, così dichiarando estinta la procedura esecutiva.
Per evitare l’espropriazione dei beni pignorati alla figlia dell’imprenditore, i due prelati Graziano Maccarone e Nicola De Luca (ma per quest’ultimo è stata chiesta l’assoluzione) in un primo tempo sarebbero andati incontro alle richieste di aiuto loro rivolte loro da Roberto Mazzocca, con don Nicola De Luca che gli avrebbe prestato la somma di 2.050,00 euro. Quindi, su richiesta del debitore, Graziano Maccarone avrebbe preso contatti con il creditore per consegnargli l’ulteriore somma di 6.700 euro, concordando con il debitore che non era necessario restituire l’intera somma data in prestito e che in ogni caso la restituzione sarebbe avvenuta in diverse rate, non appena il debitore avesse avuto la disponibilità di denaro e comunque a partire da Pasqua dell’anno successivo, cioè il 2013.
Nel frattempo Graziano Maccarone, secondo l’accusa, avrebbe inviato in due mesi oltre tremila contatti telefonici (in maggioranza messaggi a sfondo sessuale) ad altra figlia invalida del debitore, facendosi inviare foto compromettenti e facendosi recapitare indumenti intimi dalla ragazza per il tramite di conoscenti per poi invitare la stessa ragazza in un albergo di Pizzo. Incontro, quest’ultimo, che tuttavia non aveva poi luogo. Dal 12 dicembre del 2012, ad avviso della Dda di Catanzaro, don Graziano Maccarone avrebbe quindi cambiato radicalmente atteggiamento, chiedendo al debitore l’immediata restituzione delle somme di denaro per sé e per don Nicola De Luca per poi invitare lo stesso debitore nello studio di don Nicola De Luca al fine di chiarire quanto accaduto con la figlia, invitando anche quest’ultima a prendervi parte. Il 6 febbraio 2013, i due prelati si sarebbero così incontrati con il loro debitore. In tale occasione, don Graziano Maccarone avrebbe affermato che i soldi dati al creditore gli erano stati consegnati da alcuni suoi cugini di Nicotera Marina ai quali avrebbe dovuto restituire al più presto il denaro, evocando la propria vicinanza alla famiglia mafiosa dei Mancuso.
Don Graziano Maccarone, secondo la ricostruzione della Squadra Mobile di Vibo Valentia e della Dda, avrebbe inoltre contattato un proprio cugino di Nicotera, ritenuto vicino al boss Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni”, invitando il suo amico sacerdote don Nicola De Luca a farsi da parte perché avrebbe recuperato il denaro “per vie traverse” attraverso “i suoi cugini” evocando anche il nome del boss Luigi Mancuso, definito da don Graziano Maccarone come “il capo dei capi”. Le contestazioni coprono un arco temporale che va dal dicembre del 2012 a fine marzo del 2013 con luoghi di commissioni indicati in Tropea, Nicotera, Mileto e Vibo Valentia.
Il Tribunale collegiale di Vibo Valentia aveva escluso che la larvata minaccia di don Maccarone alla parte offesa fosse aggravata dal metodo mafioso, tenuto conto della “non ingiustizia della pretesa di Graziano Maccarone e del fatto che lo stesso imprenditore Mazzocca non avesse immediatamente percepito a chi si stesse riferendo don Maccarone, dimostrando così che la minaccia per l’indeterminatezza non era in grado di esprimere la forza intimidatrice derivante dal metodo mafioso”. Don Graziano Maccarone è difeso dagli avvocati Nicola D’Agostino e Fortunata Iannello. La parte offesa è assistita dall’avvocato Michele Gigliotti.
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