mercoledì,Novembre 27 2024

«Sullo Stretto ecco che arriva il Ponte dei miracoli…, “menomale” che ci ha pensato Salvini»

L'intervento del responsabile del settore Conservazione del Wwf-Calabria Pino Paolillo alla vigilia dell'incontro tra il ministro delle Infrastrutture Salvini e i governatori di Calabria e Sicilia per fare il punto sul progetto

«Sullo Stretto ecco che arriva il Ponte dei miracoli…, “menomale” che ci ha pensato Salvini»

Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Pino Paolillo, responsabile del settore Conservazione del Wwf-Calabria.

Meno male che ci ha pensato Salvini a riesumarlo, altrimenti del progetto di Ponte sullo Stretto ci saremmo dimenticati, come accade talvolta per i cari estinti. E invece no: di fronte alla grave crisi economica scatenata dalla guerra in Ucraina, nell’ambito di un grande “new deal green”, ecco finalmente la proposta geniale in grado di coniugare sviluppo economico (altro che decrescita infelice! ), tutela dell’ambiente e assoluto rispetto della legalità. Riassumiamo dunque i vantaggi dell’opera a beneficio dei soliti criticoni.
Chi, in maniera davvero riduttiva, pensa che il ponte sullo Stretto serva solo per unire la Calabria alla Sicilia (“e viceversa” come ha dichiarato qualcuno), si sbaglia di grosso e dimostra di non aver compreso appieno la rivoluzione geografica che l’imponente opera provocherà.
Per rendersene conto basterebbe leggere i paginoni dei giornali dedicati all’argomento o ascoltare le recenti dichiarazioni di molti politici. Si apprenderebbe allora che il manufatto porterebbe “la Calabria al Centro dell’Europa” oltre che del Mediterraneo, convogliando e attirando traffici che, dal “Corridoio Balcanico”, passando per quello Adriatico, si diramerebbero poi, da un lato verso Gibilterra e, dall’altro, verso i paesi del Nord Africa, senza per questo trascurare l’area del canale di Suez e l’Oriente. [Continua in basso]

In effetti è davvero incredibile che, nel terzo millennio, i grandi flussi turistici e gli scambi commerciali tra la Sicilia e il Kossovo o la Macedonia, i popoli dei Carpazi e della Transilvania, incontrino un ostacolo arrivati a Capo Peloro o a Villa San Giovanni, anziché trovare, come la globalizzazione esige, un insostituibile collegamento stabile stradale e ferroviario. A maggior ragione, come sostengono da sempre i fautori della titanica impresa, il ponte rappresenterà l’immancabile “volano per l’economia” di tutto il mezzogiorno: le provole silane arriveranno fresche sulle tavole dei nisseni e dei palermitani e cassate e cannoli voleranno alla definitiva conquista del continente. Per non parlare di tutti i Siciliani che, pur di attraversare il ponte, per recarsi al nord, non prenderanno più l’aereo, ma si sobbarcheranno volentieri 14 ore di auto o di treno (che inquina pure meno). Ma forse neanche gli stessi sostenitori delle ardite campate di cemento e acciaio hanno capito tutte le implicazioni planetarie della struttura.

L’esempio dell’emigrante che rientra in auto da Dusseldorf e risparmia ben dieci minuti di ferry-boat (arancino compreso) è ben poca cosa rispetto al richiamo che il ponte eserciterebbe sul turismo internazionale, al punto da offuscare gli scavi di Pompei, Firenze, il Colosseo e Piazza San Marco messi assieme. Un motivo in più per ammirare da vicino la modernità della statale jonica o le insuperate armonie architettoniche del “non finito calabro” alla periferia di Reggio Calabria, con la speranza che, nel frattempo, abbiano eliminato un bel po’ di discariche dalle strade. Ma il ponte, oltre che quelle turistiche, avrà senz’altro implicazioni di tipo economico e occupazionale, specie se si pensa all’impiego di “manodopera locale” delle ben note ditte specializzate su entrambe le sponde, apprezzate in tutto il mondo per la meticolosità, la trasparenza e la professionalità dei lavori svolti nei settori del commercio, dell’edilizia e, soprattutto, delle opere pubbliche. [Continua in basso]

Infondate anche le preoccupazioni dei soliti ecologisti, visto che gli sbancamenti, l’apertura di cave, la realizzazione di viadotti, raccordi stradali, ferroviari e tutto il resto, avverranno, come sempre, “nel pieno rispetto dell’ambiente”. Gli stessi uccelli migratori, fra qualche generazione, potrebbero utilizzare il ponte come punto di riferimento per i loro spostamenti transcontinentali e magari appollaiarvisi sopra per un riposino e scampare così alle fucilate dei bracconieri.
Né si può pensare di impedire un’opera così ardita solo perché la zona dello stretto, trovandosi sulla verticale di un’importante faglia, è una delle più vivaci dal punto di vista geologico e sismico: sarebbe come dire che siccome il Vesuvio è un vulcano attivo, alle sue falde non si dovevano far sorgere interi paesi che rischiano di fare la fine di Pompei e Ercolano. Anzi, proprio il ponte rappresenterà il simbolo più imponente dell’eterna sfida dell’ingegno dell’uomo contro la forza bruta della natura. E poi non è detto che Mercalli o Richter la spuntino sui calcoli dei progettisti: la struttura potrebbe resistere ad un forte sisma come quello che distrusse le due città all’alba del 28 dicembre 1908 provocando centomila morti, e favorire, nel caso di un evento analogo e previsto, l’impiego dei mezzi per soccorrere i superstiti e la rimozione delle macerie.

Nel caso malaugurato in cui invece dovesse crollare, pazienza: se ne farebbe un altro sfruttando l’esperienza del primo per ridurre ancora di più le probabilità di danni. Basterà trovare qualche soldino e aspettare come minimo dodici anni di lavori, se tutto va bene. Nessuno insomma può pensare di poter bloccare con argomenti inconsistenti e anacronistici il progresso dell’umanità poiché esso, come la stupidità, non ha limiti.

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