sabato,Settembre 21 2024

Narcotraffico dal Brasile all’Albania, il ruolo di due vibonesi arrestati nell’inchiesta Magma

In carcere Francesco Agostino di Nicotera e Carlo Pezzo di Sant’Onofrio. Ecco le accuse e i coinvolgimenti precedenti, dall’inchiesta sui Bonavota al favoreggiamento nei confronti di Antonio Campisi

Narcotraffico dal Brasile all’Albania, il ruolo di due vibonesi arrestati nell’inchiesta Magma
Immagine di repertorio
Carlo Pezzo

Coinvolge a pieno titolo anche due vibonesi, l’operazione denominata “Magma” della Dda di Reggio Calabria che ha ieri portato a 24 arresti (15 in carcere e 9 ai domiciliari) accusati di aver preso parte ad un vasto narcotraffico internazionale che sarebbe stato diretto da componenti della famiglia Bellocco di Rosano. I due vibonesi arrestati (carcere) sono: Francesco Agostino, 37 anni, di Nicotera, e Carlo Pezzo, 41 anni, di Sant’Onofrio. Nei confronti dei due arrestati – unitamente ad Umberto Bellocco (cl.’72), Giuseppe Cotroneo (cl. ’73), Francesco Di Giacco (cl. ’76), Antonio Caracciolo (cl. ’85), Giovanni Greco (cl. ’84), Angelo Arrigo (cl.’88) e Ersidio Shkurti – viene ipotizzato il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di cocaina e marijuana anche per ingenti quantità.

Umberto Bellocco di Rosarno sarebbe stato il promotore del gruppo, Giuseppe Cotroneo l’organizzatore che avrebbe provveduto ad individuare gli acquirenti della droga poi custodita nella proprietà di Gioacchino Traso in contrada Bosco di Rosarno. Francesco Agostino di Nicotera e Giovanni Greco vengono indicati come partecipi dell’associazione, con il compito di comunicare ai vertici dell’associazione l’andamento dei singoli affari e di trasportare la droga trattata sul territorio italiano, individuando poii soggetti interessati all’acquisto tanto di cocaina quanto di marijuana.

Carlo Pezzo di Sant’Onofrio – trasferitosi negli ultimi tempi nel Mantovano – unitamente ad Ersidio Skhurti avrebbero rivestito il ruolo di partecipi all’associazione e segnatamente ricoprivano il ruolo di stabili fornitori del gruppo cedendo in conto vendita agli associati ingenti quantitativi di marijuana compresi fra i 200 e i 300 chili, accordando loro significative dilazioni di pagamento connesse alla collocazione da parte dei compartecipi della droga fornita sul mercato. [Continua in basso]

La droga dal Brasile

Secondo le indagini della Dda di Reggio Calabria e della Guardia di finanza, Francesco Agostino e Giovanni Greco Giovanni si sarebbero occupati, dopo aver raggiunto l’accordo con Giuseppe Corapi, del trasporto della droga dalla Svizzera a Milano. Sempre Francesco Agostino e Giuseppe Cotroneo, dopo aver individuato per conto dell’associazione i potenziali acquirenti della droga esportata dal Brasile, sono accusati di aver provveduto il 9 marzo del 2018 a consegnarla a Skhurti Ersidio e a Carlo Pezzo i quali avrebbero garantito il pagamento dello stupefacente entro la fine del mese. Francesco Agostino, inoltre, avrebbe teneva i contatti telematici con il brasiliano De Castro Caldas e con Giuseppe Corapi.

La piantagione di Candidoni e il gruppo di Pezzo

Il 27 luglio 2018 i carabinieri scoprono 1227 piante di marijuana in un’area apparentemente abbandonata nel territorio comunale di Candidoni. Nell’occasione Francesco Agostino e Raffaele Macrì di Sant’Eufemia d’Aspromonte riuscivano a fuggire all’arresto allontanandosi.
Il gruppo al quale fanno capo Carlo Pezzo ed Ersidio Shkurti avrebbe invece operato a Mantova con settori di operatività anche in Albania. [Continua in basso]

I contrasti con gli albanesi

Il ritrovamento della piantagione

Fondamentali per l’inchiesta si sono rivelate le intercettazioni ambientali e telefoniche. Si sono così scoperti i contrasti fra i calabresi ed il gruppo di albanesi che non aveva pagato lo stupefacente ordinato dal Brasile. “Tale stato di cose determinerà l’esposizione di Bellocco e del suo gruppo nei confronti dei venditori brasiliani i quali diventeranno sempre più pressanti nelle loro richieste di saldo del debito, derivante dalla cessione della partita di cocaina che, come da accordi pregressi, avrebbe dovuto essere saldata in tempi stretti, in quanto evidentemente i calabresi avevano riferito loro che gli albanesi destinatari finali della partita di droga, l’avrebbero piazzata velocemente e avrebbero rimesso la somma totale agli indagati Bellocco, Cotroneo, Agostino e Greco”.

Il summit con il narcos brasiliano e i contrasti fra Agostino e Pezzo

In tale contesto, un emissario dei narcos brasiliani si sarebbe recato personalmente in Calabria fra l’agosto ed il settembre del 2018 per chiarire la questione. Sarebbe stato così organizzato un incontro in campagna con Carlo Pezzo, incontro al quale avrebbero dovuto partecipare tanto Greco quanto Cotroneo e Francesco Agostino. “Dal contenuto di tali dialoghi intercettati – annota il gip – si comprende come la presenza a tale convegno di Francesco Agostino Francesco non fosse gradita a Carlo Pezzo, il quale nutriva forti sentimenti di astio nei confrontidi Agostino. Carlo Pezzo, infatti, si rifiutava di presenziare all’incontro se a questo avesse preso parte l’Agostino. Solo grazie alle insistenze degli altri indagati ed all’intervento di Umberto Bellocco, Carlo Pezzo si determinerà poi a partecipare al programmato meeting”. [Continua in basso]

Pezzo e l’operazione Cerbero, Agostino e l’inchiesta su Campisi

Antonio Campisi

Processato ed assolto nel processo nato dall’operazione “Uova del drago” della Dda di Catanzaro dall’accusa di associazione mafiosa (clan Bonavota di Sant’Onofrio), Carlo Pezzo è rimasto coinvolto nel novembre 2019 nell’operazione denominata “Cerbero” della Dda di Torino. In tale caso gli viene contestato di aver preso parte alla cessione di 33 chili di hashish fra Torino e San Donato Milanese, datata 4 settembre 2016.
Nei confronti di Francesco Agostino, invece, la Dda di Catanzaro nell’agosto scorso ha chiuso le indagini preliminari nell’ambito delle indagini sul tentato omicidio a Ionadi nel maggio 2019 ai danni di Domenic Signoretta, quest’ultimo ritenuto strettamente collegato al boss Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere”, e sospettato da Antonio Campisi di Nicotera di aver preso parte all’omicidio del padre Domenico nel giugno del 2012.  Nella stessa inchiesta anche i presunti favoreggiatori delle latitanze di Antonio Campisi e dello zio Giuseppe coinvolto nell’operazione “Ossessione”.

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