Alla scoperta dei borghi calabresi abbandonati: ecco il centro del Vibonese
Alluvioni, terremoti, smottamenti, o più semplicemente migrazioni verso luoghi più comodi e con facile accessibilità a servizi, attività e lavoro. Qui alcuni da visitare in un itinerario che percorre tutta la regione
di Asmara Bassetti
Alluvioni, terremoti, smottamenti, o più semplicemente migrazioni verso luoghi più comodi e con facile accessibilità a servizi, attività e lavoro. Sono queste alcune delle motivazioni che hanno causato lo spopolamento, repentino o graduale, di alcuni paesi calabresi, indicati negli ultimi anni come Paesi fantasma. Da Pentedattilo, a Roghudi, nell’Aspromonte, spostandosi a Cirella in provincia di Cosenza, fino a Cerenzia, nel crotonese, e a Papaglionti nel vibonese. Per ogni area geografica c’è un paese fantasma che aspetta di essere visitato, e magari di riprendere vita, come se il tempo non si fosse mai fermato. Qui alcuni da visitare in un itinerario che percorre tutta la Calabria. [Continua in basso]
Roghudi
A 500 metri di altitudine su una roccia al nel cuore della fiumara dell’Amendolea sorge Roghudi, dal greco “rogòdes“, pieno di crepacci o da “rhekhodes“, aspro, o per lo meno quello che era Roghudi fino al 1971, quando un’alluvione fece decidere all’allora sindaco di far evacuare il paese, ormai inagibile. Alcuni abitanti cercarono di resistere continuando a rimanere nelle loro case, definitivamente abbandonate due anni più tardi, quando ci fu un’altra alluvione, ancora più violenta della precedente. Gli abitanti vennero spostati in quello che è attualmente Roghudi Nuovo, nel territorio concesso da Melito Porto Salvo, lasciando isolato il vecchio paese e facendogli acquisire il nome di paese fantasma. Arrivarci non è semplice, la strada è molto impervia, ma se siete curiosi ne varrà la pena. Lo scenario che vi troverete davanti sarà costituito da tante case attaccate tra loro, costruite praticamente su un dirupo, nelle quali si trovano ancora mobili, porte staccate, vestiti, e suppellettili nelle credenze. Molte cose sono rimaste lì, come in attesa di essere riutilizzate, come se il tempo si fosse fermato e aspettasse solo di ripartire. A poca distanza da Roghudi si trovano due formazioni rocciose: la Rocca del Drago, che ricorderebbe la forma dell’animale, e le Caldaie del Latte, le sette caldaie che permettevano al drago di nutrirsi. All’interno del paese, tra le abitazioni in cemento abbandonate, si trova la chiesetta di San Nicola, dove ancora oggi i visitatori lasciano oggetti e fotografie.
Pentedattilo
Sempre nel cuore dell’Aspromonte, sul Monte Calvario, troviamo Pentedattilo, uno dei più noti paesi fantasma della Calabria, che si presenta con una parte più bassa crollata, e la parte più alta che negli ultimi anni è stata ripristinata e si è arricchita in alcuni casi di botteghe e spazi da abitare, anche se saltuariamente. A vivere qui Rossella, che accoglie i visitatori che passano dal paese il cui nome deriva dal greco “pente”, cinque, e “dactilo”, dita, per via della roccia a forma di mano che sovrasta il paese, e poco più distante Daniela, con la sua bottega di arte e ricami. Intorno alle mura del castello, del quale rimangono per lo più dei ruderi, aleggia una leggenda sanguinaria riguardante due famiglie: gli Alberti e gli Abenavoli. Il barone Bernardino Abenavoli e il figlio del viceré di Napoli Don Petrillo Cortes erano innamorati entrambi della stessa donna, Antonietta Alberti, che fu concessa in moglie a al figlio del vicerè. Questo innescò le ire del barone, che nella notte di Pasqua del 1686 si introdusse nel castello colpendo Lorenzo Alberti con numerose pugnalate, costringendo Antonietta a sposarlo. Il viceré per vendicarsi inviò una spedizione facendo uccidere tutti gli uomini di Bernardino. Il barone riuscì a fuggire insieme ad Antonietta che fu successivamente rinchiusa in un convento di clausura. I piccoli vicoli abbandonati ma curati vi trasporteranno in un’altra dimensione, quella lenta dei piccoli paesi, che è sempre difficile lasciare. Se non volete fare un viaggio mordi e fuggi, potete chiedere di alloggiare in una delle stanze delle case sparse lungo l’area in parte ripristinata, per godere di tranquillità, buon cibo e panorami meravigliosi. Per i più romantici, in un angolo appartato, c’è la panchina dei baci. Dai ruderi del castello vedrete un tramonto spettacolare, con vista sull’Etna che vi lascerà letteralmente a bocca aperta. Provare per credere.
Cirella Vecchia
Spostandosi in provincia di Cosenza, sulla costa tirrenica, troviamo Cirella, l’antica Cirillae, frazione di Diamante, città medioevale ricostruita tra la fine del IX e l’inizio del X secolo. A causa dei numerosi attacchi corsari, il centro fu ricostruito, e conquistato dai Normanni, per essere distrutto nel 1800 dal bombardamento ad opera della flotta francese. Da quel momento fu definitivamente abbandonata per essere ricostruita nella parte della marina, dove si trova ora l’attuale Cirella, lasciando nella parte superiore quelli che ora sono diventati dei ruderi. Tra le mura di cinta si trovano i resti della Chiesa di San Nicola Magno, quelle della chiesa Madre e i resti del Monastero dei Minimi, Convento di San Francesco di Paola costruito nel 1545, con annessa la Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Le sue antiche origini sono confermate dal ritrovamento di fondamenta di una villa romana e un mausoleo di epoca romana. A poca distanza si trova l’Anfiteatro dei Ruderi di Cirella, di recente costruzione, che ogni estate ospita artisti e spettacoli di vario genere. Da qui è possibile ammirare uno dei tramonti più belli della nostra regione, con affaccio sulla Riviera Dei Cedri, e sullo sfondo l’Isola di Cirella.
Papaglionti
Anche la provincia di Vibo Valentia ha il suo paese fantasma: Papaglionti sorge a 460 m sul livello del mare, in prossimità di Zungri. Il suo nome probabilmente è di origine greco – bizantina e deriverebbe da Paleontos, Papas Leonitius, persona ecclesiastica forse proprietario di un casale dal quale ebbe origine il villaggio nato nel primo medioevo. Come tanti altri paesi anche Papaglionti fu abbandonata a causa di un’alluvione, nel 1952, che costrinse gli abitanti a spostarsi in un territorio vicino. Nonostante si ritrovi invaso di rovi ed erbacce, si trovano ancora delle strutture nel vecchio paese, come i resti della chiesa di San Pantaleone , i resti del castello francese, e quelli del palazzo della famiglia di Francia, la cui struttura risale al 1700. Inoltre lungo la strada sono situati due calvari, uno realizzato alla fine del ‘600 all’interno del quale si trovava un dipinto raffigurante la crocifissione. E’ una delle poche strutture ancora esistenti a Papaglionti Vecchia che si presenta in buone condizioni. Alcuni studi dimostrano che termini come Papaglionti, Papasidero, Papaleo sono tutti cognomi appartenuti a preti greci vissuti in Calabria, che appartenendo al rito greco bizantino avevano la possibilità di sposarsi lasciando il loro nome agli eredi o alle loro proprietà. [Continua in basso]
Acherentia, Cerenzia Vecchia
Prende il nome dal fiume Acheronte, adesso Lese, Acherentia o Akerentia, la città circondata da alte mura in provincia di Crotone, abbandonata nel 1844 per le difficili condizioni igieniche in cui il paese versava all’epoca. Le epidemie prima e il terremoto del 1738 poi, costrinsero la popolazione, ormai decimata, a spostarsi per dare vita al nuovo paese, Cerenzia, lasciando definitivamente Acherentia allo stato di abbandono totale. Tra le vie desolate si trovano però ancora delle costruzioni che resistono nonostante lo scorrere inesorabile del tempo, tra cui i resti dell’antico palazzo del Vescovado, simbolo e monumento di Acherentia, e la chiesa, dedicata a San Leone e al martire San Teodoro di Amasea, che presenta ancora visibilmente una architettura a 3 navate. Sono presenti anche le Grotte Basiliane, nella zona Giancola a 2 chilometri di distanza. Era proprio in queste grotte che si tenevano i riti della tradizione greco bizantina. Centro bizantino molto importante per l’epoca, come Euria (odierna Umbriatico), Isola e Belcastro, Akerentia fu insignita della dignità vescovile figurando come sede suffraganea di Santa Severina, seconda provincia ecclesiastica calabrese. Negli ultimi anni, dopo oltre 150 di abbandono, si sono messi in atto dei programmi di recupero che hanno permesso la realizzazione di un parco archeologico che ha portato alla luce gli antichi resti della civiltà.