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Quando il socialista Mancini fu “colpito” da paralisi alla vista di una croce

Un curioso episodio, degno di “Don Camillo e Peppone”, accadde a Vibo Valentia durante la campagna elettorale del 1948 nel momento in cui la religione era motivo di aperto scontro politico.

Quando il socialista Mancini fu “colpito” da paralisi alla vista di una croce

Le elezioni politiche del 1948 furono precedute, sul piano nazionale, dall’estromissione delle sinistre dal governo. La battaglia elettorale, che aveva originato, da una parte, attese palingenetiche e dall’altra paure immotivate, assume toni epici o apocalittici. Si crea un clima di violenza che in Calabria fa due morti.

Chiave di volta dello scontro è la questione religiosa, il cui uso da parte democristiana affonda abilmente nel tessuto del mondo rurale, impregnato di fede cattolica, ma ancor di più di superstizione e paura dei cambiamenti. Così, se in tutta Italia si gioca la partita tra Roma cristiana e l’Anticristo sovietico, in Calabria la battaglia assume toni ancora più marcati a causa delle false credenze e si ricorre anche a fantasiose tecniche di manipolazione della realtà. Un esempio clamoroso di questo clima infuocato è rappresentato dalla vicenda di cui fu protagonista involontario Pietro Mancini, storico leader socialista.

Il 13 aprile 1948, a Vibo Valentia, accade un episodio che sembra uscito dalla penna di Giovannino Guareschi, in pieno stile “Peppone e don Camillo”. Mancini tiene un comizio per il Fronte Popolare. In fondo alla piazza, un monaco improvvisa una processione, ma il maresciallo dei carabinieri lo costringe a cambiare percorso. L’oratore pare che non si accorga neanche dell’incidente, portando a termine il suo comizio. Ma due giorni dopo, a ventiquattro ore dalla chiusura della campagna elettorale, i giornali democristiani di Reggio, Cosenza e Catanzaro concordano uno scoop incredibile.

Un periodico reggino titola: “L’ex ministro Pietro Mancini insulta Cristo in croce e viene colpito da paralisi”, mentre la cosentina “Parola di vita”, nell’edizione del 15 aprile così descrive l’episodio: “A Vibo Valentia, in piazza Garibaldi, mentre l’onorevole Pietro Mancini parlava per il Fronte Popolare, compariva a distanza una processione, alla vista della quale l’oratore se ne usciva in invettive contro la religione. L’uditorio, in segno di protesta, abbandonava la piazza e si univa alla massa dei fedeli. Così l’on. Mancini era costretto a porre fine al suo discorso e a scendere, veniva issata sul palco la Croce mentre un frate francescano prendeva la parola. L’onorevole Mancini, dopo la disavventura di Vibo, è stato colpito da un attacco apoplettico. Auguriamo cristianamente che abbia preso a guarire”.

Lo stesso giorno, il vescovo di Crotone, in chiesa, commemorava Pietro Mancini, morto; mentre a Reggio dei manifesti annunciano che Mancini è stato colpito da paralisi e ha perduto la parola. Per smentire di essere stato colpito dalla punizione divina, il leader socialista, settantaduenne, è costretto a precipitarsi a Reggio per l’ultimo giorno di campagna elettorale, rientrando poi subito a Cosenza (otto-dieci ore di viaggio sulla strada statale delle Calabrie, di murattiana memoria) per mostrasi in pubblico e passeggiare in lungo e in largo per la città.

L’episodio fu riportato in un discorso parlamentare tenuto da Fausto Gullo il 9 giugno 1948 durante il dibattito sulla fiducia al governo De Gasperi.

Gli strascichi della vicenda di Vibo Valentia sono menzionati anche da Montanelli nella sua “Storia d’Italia”, in cui così viene ricostruito quanto accadde in aula: “Il 9 giugno socialisti e comunisti da una parte e democristiani dall’altra, eccitati dal discorso di Gullo, nel quale erano state messe sotto accusa le intromissioni della Chiesa, si scazzottarono di santa ragione. Dopodiché si alzò nell’aula un coro democristiano di “Viva il Papa”, cui si contrappose un “Viva il 20 settembre” da parte delle Sinistre”.

I risultati di quelle elezioni in Italia sono ben noti. De Gasperi commentò asciuttamente: “Credevo che piovesse, non che grandinasse”. Alla Dc era andato il 48,5%, contro il 31% del Fronte Popolare. In Calabria, la Democrazia Cristiana, attirando parte dei voti liberali e monarchici, pilotati dalla grande proprietà terriera, ottiene il 48,76%. Sono questi i rapporti di forza tra i partiti, da cui inizia la storia elettorale della Calabria che vedrà la regione, negli anni a venire, investita da profondi processi di trasformazione socio-economica e culturale.

(cfr. V. Cappelli: “Politica e politici”- Le Regioni dall’unità ad oggi-La Calabria).

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