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Rinascita Scott: la Procura di Vibo chiude le indagini per 21 indagati

Ecco tutte le contestazioni mosse dal pm Luca Ciro Lotoro. Accuse anche per l’ex sindaco di Pizzo Gianluca Callipo, un funzionario della Prefettura, un assistente giudiziario del Tribunale ed un ausiliario del Giudice di pace

Rinascita Scott: la Procura di Vibo chiude le indagini per 21 indagati
Il pm Luca Ciro Lotoro

Avviso di conclusione delle indagini preliminari da parte della Procura di Vibo Valentia (pm Luca Ciro Lotoro) nei confronti di 21 indagati le cui posizioni erano state stralciate dalla Dda di Catanzaro nell’ambito dell’inchiesta “Rinascita-Scott” poiché sono venute meno le aggravanti mafiose. Questi gli indagati nei cui confronti sono state chiuse le indagini: Giovanni Giamborino, 61 anni, di Piscopio (attualmente in carcere per il troncone principale di Rinascita Scott, difeso dagli avvocati Valerio Vianello Accorretti e Alessandro Diddi); Gianluca Callipo, 40 anni, ex sindaco di Pizzo (attualmente sotto processo per il troncone principale di Rinascita Scott, difeso dagli avvocati Armando Veneto e Vincenzo Trungadi); Danilo Tripodi, 41 anni, di Vibo Valentia, assistente giudiziario del Tribunale di Vibo; Antonella Bartolotti, 40 anni, di Pizzo Calabro (difesa dagli avvocati Giovanni Vecchio e Sandro D’Agostino); Giuseppe Feroleto, 31 anni, di Pizzo (avvocato Sandro D’Agostino); Filippo Fuscà, 41 anni, di Vibo Valentia (avvocati Salvatore Pronestì e Giuseppe Bagnato); Ahmed Goairy, 46 anni, marocchino residente a Vibo Valentia (avvocato Marco Talarico); Renato Iannello, 47 anni, di San Gregorio d’Ippona (avvocati Salvatore Staiano e Gregorio Viscomi); Nicola Larobina, 60 anni, di Arena, ausiliario all’Ufficio del Giudice di Pace di Vibo Valentia (avvocato Antonio Barilaro); Michele Larobina, 74 anni, di Arena (fratello di Nicola), funzionario della Prefettura di Vibo Valentia (avvocati Mariateresa Larobina e Luca Cianferoni); Marco Lo Bianco, 38 anni, di Vibo Valentia (avvocato Walter Franzè); Francesco Marcello, 42 anni, di Pizzo (avvocati Giovanni Vecchio e Bruno Vallelunga); Giuseppe Mercatante, 55 anni, di San Costantino Calabro (avvocati Aldo Currà e Alfredo Mercatante); Maria Concetta Paglianiti, 41 anni, di Vibo Valentia (avvocato Marco Talarico); Filippo Polistena, 46 anni, di Vibo Valentia (avvocati Walter Franzè e Luigi Assisi); Nazzareno Pugliese, 73 anni, di San Costantino Calabro (avvocato Giuseppe Bagnato); Michelino Scordamaglia, 47 anni, di Vibo Marina (avvocato Francesco Sabatino); Antonio Scrugli, 32 anni, di Vibo Valentia (avvocato Giovanni Vecchio); Claudio Solano, 48 anni, di Pizzo Calabro (avvocato Elisabetta Solano); Federica Vacatello, 29 anni, di Vibo Valentia (avvocato Domenico Marzano); Antonio Fuoco, 65 anni, di Vibo Valentia (avvocato Salvatore Sorbilli). [Continua in basso]

Le contestazioni

Gianluca Callipo

Corruzione elettorale il reato ipotizzato nei confronti dell’ex sindaco di Pizzo Gianluca Callipo, di Claudio Solano, e dei coniugi Francesco Marcello e Antonella Bartolotti, tutti di Pizzo. Secondo l’accusa, gli indagati – in concorso tra loro ed “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso” – in occasione delle consultazioni elettorali per l’elezione dell’amministrazione comunale di Pizzo, tenutesi in data 11 giugno 2017 avrebbero stretto un accordo. Gianluca Callipo avrebbe agito nella qualità di candidato a sindaco, Francesco Marcello e la moglie Antonella Bartolotti quali gestori dell’esercizio commerciale avente insegna SPQR ubicato a Pizzo in Piazza della Repubblica. Tale accordo, secondo gli inquirenti, prevedeva da una parte l’impegno di Marcello e Bartolotti per sostenere la candidatura elettorale di Gianluca Callipo, dall’altra parte la promessa dello stesso Callipo di impegnarsi a deliberare atti amministrativi in favore dei coniugi Marcello-Bartolotti “dai quali dipendeva anche la possibilità di un impiego lavorativo in favore di Claudio Solano, che appoggiava elettoralmente Callipo ed in seguito veniva assunto proprio nell’attività ristorativa condotta dai coniugi Marcello – Bartolotti”. In tale caso l’aggravante mafiosa non era mai stata contestata dalla Dda.

Danilo Tripodi

Rivelazione di segreti d’ufficio è invece l’accusa per Danilo Tripodi, assistente giudiziario del Tribunale di Vibo Valentia. Tripodi è stato rinviato a giudizio a giudizio in Rinascita-Scott per reati aggravati dalle finalità mafiose, ma non per l’ipotesi di rivelazione di segreti d’ufficio. Per tale contestazione, gli atti sono stati così trasmessi alla Procura di Vibo che ha ora chiuso le indagini. L’accusa di rivelazione di segreti d’ufficio viene contestata a Danilo Tripodi (difeso dall’avvocato Francesco Sabatino) in concorso con Nicola Larobinaausiliario all’Ufficio del Giudice di Pace di Vibo Valentia, e con Michele Larobina, funzionario della Prefettura di Vibo Valentia. Con loro è indagato per lo stesso reato pure Renato Iannello, di San Gregorio d’Ippona, ritenuto l’amministratore di fatto e l’effettivo dominus della ditta individuale “Casanuova Costruzioni”. Anche in questo caso l’aggravante mafiosa non era mai stata contestata. [Continua in basso]

In violazione dei doveri inerenti le rispettive funzioni, Danilo Tripodi e Nicola Larobina – quali determinatori ed istigatori della condotta illecita e sfruttando il ruolo istituzionale dagli stessi rivestito – e con Michele La Robina che avrebbe agito quale pubblico ufficiale e funzionario della Prefettura di Vibo (in servizio all’ufficio Protezione civile),  secondo l’accusa avrebbero acquisito notizie d’ufficio che dovevano rimanere segrete, rivelandone la conoscenza.
In particolare, il 19 novembre 2019 Danilo Tripodi avrebbe contattato Nicola Larobina – in servizio al Giudice di Pace di Vibo – spiegandogli che il nominativo di suo interesse era quello di “Rosario Curtosi” (non indagato)Anche in tale caso l’aggravante mafiosa non è mai stata contestata.
Il reato di concorso in rivelazione di atti d’ufficio avrebbe consentito  a Renato Iannello di ottenere un indebito profitto patrimoniale derivante dalla possibilità di sottrarsi a nuove misure di prevenzione ed evitare provvedimenti ablatori nei confronti della ditta individuale “Casanuova Costruzione” (a lui di fatto riconducibile), che poteva altresì beneficiare dell’iscrizione nella lista dei “soggetti fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti ad infiltrazione mafiosa” ed aggiudicarsi appalti di lavori pubblici, tra i quali i lavori di pavimentazione eseguiti al Tribunale di Vibo Valentia, sede di via Lacquari.

Tali condotte costano a Danilo Tripodi anche il reato di favoreggiamento reale nei confronti di Renato Iannello (amministratore di fatto ed effettivo dominus della ditta individuale Casanova Costruzioni) il quale, grazie proprio a Tripodi, avrebbe continuato a non palesare l’effettiva titolarità della ditta. Renato Iannello ha precedenti per omicidio, armi e stupefacenti ed è fratello di Francesco Iannello, che in Rinascita-Scott ha chiesto ed ottenuto il rito abbreviato ed è stato condannato a 5 anni.

Le accuse per Tripodi e Lo Bianco

Danilo Tripodi e il cugino Marco Lo Bianco avrebbero acquisito notizie d’ufficio che dovevano rimanere segrete. In particolare, Marco Lo Biancosocio di fatto nella gestione del B. & B. e dell’attività di affittacamere formalmente riferibile all’impresa individuale “Calamo” di via De Gasperi a Vibo Valentia”, sarebbe stato il beneficiario della condotta di rivelazione, “quale gestore del residence Risorgimento di Vibo Valentia”. Il 17 gennaio 2018, quindi, Danilo Tripodi è accusato di aver inviato a Marco Lo Bianco una mail avente ad oggetto una causa, in allegato alla quale veniva trasmessa la scansione di una Cnr (comunicazione notizia di reato) redatta in data 6 gennaio 2015 dalla Stazione dei carabinieri di Vibo Valentia, comprensiva anche dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari con contestuale informazione di garanzia emesso dalla Procura di Vibo Valentia il 3 dicembre 2015, nell’ambito del procedimento penale scaturito dalla denuncia di Marco Lo Bianco per il reato di insolvenza fraudolenta ascritto ad un cliente del residence. [Continua in basso]

Le altre accuse

Giovanni Giamborino

Usura in concorso con Giovanni Giamborino è invece l’accusa mossa a Nazzareno Pugliese di San Costantino Calabro, mentre in altro caso Nazzareno Pugliese avrebbe agito insieme al compaesano Giuseppe Mercatante, quest’ultimo rappresentante legale della Emmedil srl. In questo caso la Dda non aveva contestato alcuna aggravante mafiosa e da qui l’incompetenza funzionale del gup distrettuale.

Filippo Fuscà e Michelino Scordamaglia sono invece accusati della detenzione illegale di due fucili, mentre per Giuseppe Feroleto l’accusa di detenzione e porto in luogo pubblico di una pistola calibro 9, arma con la quale il 9 marzo del 2017 avrebbe aperto il fuoco (è accusato per questo del reato di tentato omicidio aggravato dai futili motivi) all’indirizzo dell’autovettura sulla quale viaggiavano la propria fidanzata ed un’altra ragazza rimasta ferita ad una gamba. Feroleto, secondo gli inquirenti, avrebbe voluto punire le due donne dopo una lite in un locale pubblico avvenuta in occasione della “Festa della donna”.

Antonio Scrugli, Federica Vacatello, Maria Concetta Paglianiti e Ahmed Goairy sono invece accusati di favoreggiamento personale in quanto avrebbero aiutato Sergio Gentile di Vibo Valentia, alias “Toba”, ad eludere le investigazioni della polizia giudiziaria omettendo di riferire fatto di loro conoscenza ed in particolare i rapporti tra Paglianiti Domenico e Gentile Sergio sulle modalità ed i tempi con cui quest’ultimo intendeva riscuotere un proprio credito (non era stata contestata l’aggravante mafiosa). Sergio Gentile nel processo Rinascita Scott con rito abbreviato è stato condannato a 14 anni.

L’imprenditore Filippo Polistena è infine accusato di concorso in truffa (80 euro il valore) per la tumulazione delle salme dei migranti nel cimitero di Bivona – fra il 2016 ed il 2017 – con mattoni forati anziché pieni, in violazione del regolamento di polizia mortuaria. Con lui è indagato pure Antonio Fuoco, custode del cimitero di Bivona.

Tutti gli indagati avranno ora venti giorni di tempo per chiedere alla procura di Vibo di essere ascoltati o presentare eventuali memorie difensive attraverso i rispettivi legali.

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