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Estorsione: cade in secondo grado l’aggravante mafiosa per il boss Antonio Mancuso

La Corte d’Appello ridetermina la pena nel processo che vedeva parte offesa il commerciante di Nicotera Carmine Zappia

Estorsione: cade in secondo grado l’aggravante mafiosa per il boss Antonio Mancuso
Antonio Mancuso

Dalla pena di 10 anni e 6 mesi rimediata lo scorso anno dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia (presidente Tiziana Macrì) passa in secondo grado alla pena di 7 anni di reclusione. La Corte d’Appello di Catanzaro (presidente Antonio Giglio, a latere i giudici Ippolita Luzzo e Giovanna Mastroianni) ha infatti escluso per Antonio Mancuso, 84 anni, di Limbadi (residente a Nicotera) l’aggravante mafiosa e altra aggravante nel reato di estorsione ai danni del commerciante di Nicotera Carmine Zappia. Da qui la rideterminazione della pena in 7 anni di reclusione. Per i giudici d’appello, quindi, quella commessa da Antonio Mancuso ai danni di Carmine Zappia non è stata un’estorsione mafiosa compiuta per agevolare le attività del clan Mancuso. Antonio Mancuso è stato condannato a risarcire le parti civili Carmine Zappia, Antonio e Giulia Zappia (avvocato Giovanna Fronte), la Regione Calabria (avvocato Antonella Coscarella), e la Provincia di Vibo (avvocato Maria Rosa Pisani). Il Comune di Nicotera (in primo grado assistito in aula dall’avvocato Michele Pagnotta) non ha rassegnato in appello in aula le proprie conclusioni per il risarcimento del danno. [Continua in basso]

La Corte d'Appello di Catanzaro
La Corte d’Appello di Catanzaro

Soddisfatto per il verdetto si è dichiarato l’avvocato Giuseppe Di Renzo che preannuncia ricorso in Cassazione. «Sono soddisfatto – ha dichiarato alla lettura della sentenza – perché si è dimostrato che i fatti oggetto del procedimento penale non erano di competenza della Dda di Catanzaro ma della Procura ordinaria di Vibo, essendo caduta l’aggravante del metodo mafioso nella contestazione di estorsione. Ciò avrà un peso notevole nel ricorso in Cassazione». La pubblica accusa aveva chiesto la condanna a 12 anni e 6 mesi di reclusione, avendo appellato la sentenza di primo grado che aveva concesso ad Antonio Mancuso le attenuanti generiche (che sono state ora escluse dai giudici d’appello).

Del reato di estorsione aggravata dalle modalità mafiose erano accusati Alfonso Cicerone e Giuseppe Cicerone (che hanno scelto il rito abbreviato, con Cicerone condannato a 9 anni e 8 mesi), quali concorrenti e cointeressati dal boss Antonio Mancuso. I due sarebbero stati incaricati di tenere direttamente i rapporti con la vittima, l’imprenditore di Nicotera Carmine Zappia.

Proprio Antonio Mancuso, secondo l’accusa, avrebbe impartito le direttive per l’estorsione convocando la vittima alla sua presenza e interloquendo direttamente con la stessa, in più occasioni ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, dapprima asserendo di aver rilevato il residuo credito di centomila euro vantato da Maria Giacco nei confronti della vittima Carmine Zappia, in relazione alla cessione nel maggio del 2011 di un immobile sito in via Filippella di Nicotera. Quindi riferendo di agire per conto di terze persone non meglio specificate, mediante violenza e minaccia derivante “dall’appartenenza dei Cicerone e di Antonio Mancuso alla famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso di Limbadi e dal carisma mafioso di Mancuso Antonio, connesso al suo ruolo di riconosciuto referente di tale famiglia”.

Antonio Mancuso è il fratello più grande di Luigi Mancuso, quest’ultimo imputato nel maxiprocesso Rinascita Scott.

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