Spopolamento del Vibonese, Furci: «Il rimedio? La difesa del lavoro è l’unica via»
Il problema, che interessa molte zone del territorio, affrontato dallo storico e meridionalista per mezzo di una analisi delle cause che hanno provocato il calo demografico conseguente all’esodo delle forze sane e produttrici
Il problema dello spopolamento progressivo che interessa molte zone del territorio vibonese viene affrontato dallo storico e meridionalista Michele Furci, ex segretario provinciale della Cgil, per mezzo di un’attenta analisi delle cause che hanno provocato il calo demografico conseguente all’esodo delle forze sane e produttrici. La necessità di difendere il lavoro viene individuata come unica via per restituire alle giovani generazioni la speranza di un’occupazione dignitosa della propria regione. Come? Per l’ex sindacalista la possibile soluzione viene individuata nell’utilizzo, in maniera integrale, del patrimonio agrario e dell’artigianato, settori che sono stati marginalizzati dalla selvaggia economia concorrenziale delle multinazionali.
«Saldare il conto che il Sud e la Calabri attendono da oltre un secolo»
«Occorre riprendere il cammino dello sviluppo produttivo – afferma Furci – per saldare finalmente il conto storico che il Sud e la Calabria attendono ormai da più di un secolo. Si tratta, capovolgendo la cultura assistenziale, di orientare, in primis, in tale direzione i fondi del Pnnr e allo stesso tempo attrezzarsi per far diminuire l’evidente dipendenza dai mercati esteri di beni che un moderno settore primario in Calabria potrebbe produrre competendo alla pari con il mercato globale. Non si tratta di abbandonare – precisa ancora lo studioso – alcun campo economico e men che meno di fare passi indietro rispetto all’indiscussa vocazione che la regione vanta anche nel settore del terziario e del turismo, bensì di valorizzare, accanto agli altri settori economici, anche il grande patrimonio agrario e il suo straordinario ecosistema che lo caratterizza al centro del Mediterraneo. Si tratta soltanto di riproporlo in versione moderna e con nuove forme di conduzioni agro-industriali». Da un’analisi della situazione attuale scaturisce «il dato che ci indica come molti proprietari di piccoli e medi appezzamenti di terreno non sono in grado di curarlo economicamente per varie ragioni logistiche e professionali. La ragione principale sta nella lontananza dalla residenza poiché molti proprietari hanno lasciato da tempo il paese d’origine e, seppure lo desiderassero, sono impossibilitati a coltivare la terra che fu dei propri genitori».
«Agricoltura è stata relegata a fattore economico residuale»
Altra ragione «sta nella diseconomia che frattanto è intervenuta nella conduzione di monoculture: oliveto, agrumeto, seminativo. I vigneti, ad esempio, che caratterizzavano le valli delle zone interne, sono scomparsi ormai da più di quaranta anni. Una terza ragione risiede anche nella mancanza di una giovane categoria professionale in quanto, nel corso degli ultimi cinquanta anni, gli indirizzi professionali sono stati tutti orientati verso un diploma o una laurea pur che sia. Sul piano culturale, perciò – sottolinea l’ex sindacalista vibonese – l’agricoltura è stata relegata a fattore economico residuale e dunque da scartare a priori come attività in cui far crescere e motivare nuove figure professionali capaci di sperimentare la modernizzazione delle colture e la loro specializzazione. In ragione di ciò, i modelli di riferimento sono stati finora fallimentari e incapaci di attrarre i giovani che, al contrario, sono la condizione affinché le nostre terre possano ritornare ad essere fattore di sviluppo e luogo di una nuova moderna occupazione. La ricomposizione del patrimonio agrario deve creare l’appetibilità e la convenienza economica di quanti hanno voglia di credere in un’inversione di tendenza per legittimarsi sul mercato con prodotti di nicchia e ad alto valore aggiunto. Si tratta di un’operazione che tocca in primo luogo alla regione, alle province e in particolare ai Comuni ai quali, in virtù della riforma del titolo V della Costituzione, è demandato il compito di programmare lo sviluppo economico del proprio territorio».
Le modalità di questo intervento vengono, in conclusione, in tal modo individuate: «I Comuni, in accordo con le istituzioni sovraordinate, potrebbero promuovere: la costituzione di gruppi di giovani che desiderano iniziare a sperimentare forme di conduzioni agroalimentari; che ogni gruppo decida la forma della propria azienda; la costituzione e la dimensione dell’azienda con l’acquisizione dei terreni agrari da destinare alle coltivazioni; la costruzione degli opifici per la trasformazione dei prodotti; il conferimento, da parte di singoli proprietari che non intendono essere parte attiva nella conduzione, alle nuove aziende come sopra costituite, utilizzando il metodo delle quote-azioni di ogni singola proprietà».
.
- Tags
- michele furci