Rinascita Scott: per il gup è Luigi Mancuso il capo assoluto della ‘ndrangheta vibonese
Il giudice Claudio Paris ha depositato le motivazioni della sentenza con la quale il 6 novembre scorso ha inflitto condanne per quasi 650 anni di reclusione nei confronti di 70 imputati
Il gup distrettuale, Claudio Paris, ha depositato le motivazioni della sentenza in abbreviato con la quale il 6 novembre scorso ha inflitto condanne per quasi 650 anni di reclusione nei confronti di 70 imputati. Le assoluzioni sono state 19, mentre due sono state le prescrizioni. In 851 pagine di motivazioni, il gup spiega il percorso logico-giuridico per arrivare all’affermazione della penale responsabilità degli imputati. L’inchiesta, avviata nel 2014 e sfociata nel maxiblitz del 19 dicembre 2019, ha superato dunque il vaglio del giudice di primo grado con il rito abbreviato che ha infatti confermato la validità dell’impianto accusatorio e delle investigazioni arrivando per alcuni imputati a decidere condanne che hanno superato le stesse richieste della pubblica accusa rappresentata dalla Dda di Catanzaro con in testa il procuratore Nicola Gratteri ed i tre pm che hanno sostenuto l’accusa in aula: i sostituti procuratori Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso.
Dalle motivazioni della sentenza emerge che a Vibo Valentia città è stato operativo (almeno sino al giorno dell’operazione Rinascita Scott) un vero e proprio “locale” di ‘ndrangheta. La sentenza lo struttura in tre ‘ndrine e per due di queste – quella dei Lo Bianco-Barba e quella dei Camillò-Pardea-Macrì – il giudice ne ha confermato la piena esistenza. Per una terza presunta ‘ndrina, quella dei Pugliese, detti “Cassarola”, bisognerà invece attendere la sentenza del troncone del maxiprocesso Rinascita Scott che si sta celebrando con rito ordinario, posto che tutti gli imputati accusati di farne parte in tale caso hanno scelto il rito ordinario. La sentenza riconosce poi l’operatività di altri clan: gli Accorinti di Zungri, i Fiarè-Razionale di San Gregorio d’Ippona, i Bonavota di Sant’Onofrio, i Mazzotta a Pizzo ed i Barbieri nella zona di Cessaniti. [Continua in basso]
Un intero capitolo della sentenza è intitolato alla ‘Ndrangheta vibonese, “tra federalismo, tentazioni stragiste e massoneria”, con una trattazione della figura di Luigi Mancuso, detto “il Supremo”, il cui processo è in corso con rito ordinario.
“Tra le consorterie tratte a giudizio, la più importante e potente è senz’altro – scrive il giudice in sentenza – la cosca Mancuso capeggiata da Luigi Mancuso.
Si tratta del più carismatico capo di tutta la ‘ndrangheta vibonese, probabilmente il più autorevole di tutte le restanti cosche calabresi agli occhi del Crimine di Polsi ed alle cui leadership devono giocoforza chinarsi tutte le cosche vibonesi”. Il giudice sottolinea l’attendibilità delle dichiarazioni sul ruolo di Luigi Mancuso rilasciate da collaboratori storici come Michele Iannello di Mileto e Gerardo D’Urzo di Sant’Onofrio, Rosario Michienzi di Stefanaconi. Supera il vaglio dell’attendibilità anche Andrea Mantella che ha parlato di Luigi Mancuso come il “più giovane capo Crimine della Calabria e con fama nazionale”. Piena attendibilità riconosciuta pure al collaboratore di giustizia Raffaele Moscato che ha raccontato di aver saputo del tentativo nel 2012 da parte di Luigi Mancuso di contattare il clan dei Piscopisani, attraverso Saverio Razionale, per fare la pace”. Lo stesso Luigi Mancuso che, a detta di Moscato e non solo, si sarebbe staccato dal Crimine di Polsi alleandosi a Nicolino Grande Aracri di Cutro. Ai Farao di Cirò ed agli Arena di Isola Capo Rizzuto.
“L’attualità dei rapporti tra i Mancuso e il Crimine di Reggio Calabria è stata documentata nell’informativa dei Ros di Catanzaro, dalla quale emerge che Luigi Mancuso è il referente principale della ‘ndrangheta vibonese, pertanto definito “il Supremo”.
Così come, per quanto riguarda i rapporti tra la ‘Ndrangheta e Cosa Nostra, sui quali hanno riferito nel dettaglio i collaboratori di giustizia Di Giacomo e Virgiglio, le recenti dichiarazioni di Andrea Mantella (del 24 novembre 2017) confermano che Luigi Mancuso, al tempo della “mafia stragista”, fu interpellato da Cosa Nostra.
Scarcerato nel 2012 dopo 19 anni di ininterrotta detenzione, Luigi Mancuso avrebbe cercato di riappacificare tutti i clan del Vibonese e prima ancora fra i vari rami della famiglia Mancuso.
“La politica criminale così imposta, attraverso la concordia e il consenso, in effetti produceva effetti inimmaginabili, quali la condivisione, da parte tutti i Mancuso – scrive il giudice – e, in particolare, da parte di Giuseppe Mancuso (il nipote con cui in passato s’erano registrati contrasti), dei progetti criminali dettati dal boss e l’assoggettamento “spontaneo” della popolazione che, perfino, di propria iniziativa andava a pagare le estorsioni direttamente a Luigi Mancuso. Così, infatti, si esprime Giovanni Giamborino che è risultato essere uno dei più fidati uomini del Mancuso, parlando con l’avvocato Giancarlo Pittelli, nella conversazione intercettata il 13 maggio 2017”.
A testimoniare la rinnovata unità tra i due vertici – Luigi Mancuso ed il nipote Giuseppe Mancuso (detto ‘Mbrogghja) – il gup in sentenza sottolinea che “Luigi Mancuso è andato a scegliere come braccio destro, uomo di fiducia che lo avrebbe rappresentato all’esterno come unico portavoce durante il periodo di latitanza volontaria, Pasquale Gallone, fratello di Giuseppe Antonio Gallone, lo storico favoreggiatore della latitanza di Giuseppe Mancuso”. Pasquale Gallone è stato condannato a 20 anni di reclusione.
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