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Gli omicidi ed i progetti di morte fra i clan vibonesi svelati dal collaboratore Guastalegname

Il traffico di armi ed il timore di Nazzareno Colace per la scarcerazione di Andrea Mantella, mentre Giuseppe Accorinti avrebbe voluto uccidere Luciano Macrì. Ecco tutti i retroscena nel racconto del nuovo pentito

Gli omicidi ed i progetti di morte fra i clan vibonesi svelati dal collaboratore Guastalegname
Antonio Guastalegname

Sessanta pagine di verbali depositati, molte parti ancora coperte da segreto investigativo, diverse conferme e tanti particolari inediti. Finiscono per rafforzare l’impianto accusatorio del maxiprocesso Rinascita Scott, le dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia vibonese, Antonio Guastalegname, ma al contempo aprono diverse piste investigative ancora in parte da scrivere. Condannato in primo e secondo grado a 30 anni di reclusione – insieme al figlio Domenico ed a Giuseppe Piccolo di Nicotera – per l’omicidio del tabaccaio Manuel Bacco, freddato nel corso di una rapina nel suo negozio di Asti il 19 dicembre del 2014, il nuovo collaboratore di giustizia (sotto processo in Rinascita per narcotraffico) parla anche di diversi fatti di sangue. Mi riservo di fornire ulteriori particolari – ha dichiarato Guastalegname agli inquirenti – in ordine ad alcuni omicidi e nello specifico a delle notizie su fatti di sangue che ho ricevuto da Nazzareno Colace. Mi riferisco agli omicidi ai quali ho già fatto cenno nei precedenti verbali e sui quali posso riferire in maniera più approfondita”. Il collaboratore di giustizia ha dunque fatto riferimento anche ad alcuni omicidi al momento non resi ostensibili dalla Dda di Catanzaro che sta indagando alla ricerca dei necessari riscontri. Dai verbali depositati si evince però che Guastalegname sul punto ha aggiunto: “Faccio presente che Nazzareno Colace insieme a Pantaleone Mancuso, Scarpuni, erano per così dire dietro le quinte rispetto alla faida fra i Piscopisani e quelli di Stefanaconi, innescata a seguito degli omicidi di Fiorillo e poi di Patania Fortunato, e da loro cavalcata per perseguire le loro finalità ed i loro interessi, ragion percui Colace era a conoscenza di molti particolari relativi a quei fatti di sangue”. [Continua in basso]

Il timore di Colace nei confronti di Mantella

Andrea Mantella

Ucciso nel marzo del 2012 Francesco Scrugli a Vibo Marina nel corso di un agguato preparato dai Patania di Stefanaconi con la regia di Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni –  in cui rimasero feriti anche Rosario Battaglia e Raffaele Moscato del clan dei Piscopisani – secondo Antonio Guastalegname si temeva una violenta reazione da parte di Andrea Mantella appena uscito dal carcere. Scrugli era infatti il “braccio-destro” di Mantella, oltre che il cognato, che in quel periodo si era unito al clan dei Piscopisani. Il timore di una reazione da parte di Andrea Mantella, avrebbe portato Nazzareno Colace di Portosalvo – ritenuto fra i fedelissimi del boss Pantaleone Mancuso (Scarpuni) – a preoccuparsi dell’invio di armi dal Nord a Vibo Valentia. “Nazzareno Colace mi rappresentò il fatto che avremmo dovuto prendere noi tutte le armi degli zingari di etnia Sinti a discapito di altri che rifornivano la zona delle Serre. Nazzareno Colace – ha dichiarato a verbale Guastalegname – aveva timore della scarcerazione di Andrea Mantella che sicuramente avrebbe vendicato la morte di Scrugli e, pertanto, era intenzionato a far arrivare a Vibo tutte le armi. Nazzareno Colace mi diede mandato di organizzare con i Sinti il traffico di armi e io parlai con la famiglia dei Sinti evidenziando che avevo bisogno di armi e le predette famiglie mi assicurarono che mi avrebbero rifornito”.

Nazzareno Colace

Pistole e fucili vennero quindi spediti dal Piemonte sino a Vibo e poi a Portosalvo dopo che nel dicembre 2014 Nazzareno Colace si sarebbe personalmente recato ad Asti per visionare le armi e poi per incontrare in Lombardia Totò Prenesti di Nicotera, alias “Yo-Yò”, ritenuto uno dei killer più fidati del clan Mancuso. Le armi sarebbero state visionate anche da Ivan Colace, figlio di Nazzareno, e poi trasportate in auto nell’estate del 2015 da Antonio Guastalegname in un magazzino di Trainiti nella disponibilità di Nazzareno Colace. “Qui mi accolse un nipote di Nazzareno Colace – ha ricordato Guastalegname – che però al momento dello scarico delle armi fu mandato via. Nazzareno Colace aprì lo zaino, vide le armi e posò lo zaino in una macchina sequestrata che era all’interno del magazzino. Dopo di ciò andammo via e per tali armi – ha spiegato il collaboratore – non ho neanche ricevuto alcun pagamento”. [Continua in basso]

Peppone Accorinti voleva uccidere Luciano Macrì

Giuseppe Accorinti

Antonio Guastalegname nelle sue dichiarazioni non risparmia neanche alcuni personaggi di Vibo Marina. “Ho avuto rapporti con Luciano Macrì e Raffaele Pardea, sempre inerenti alla loro richiesta di armi e ricordo che nell’occasione Lello Pardea – ha ricordato il collaboratore – mi presentò Mimmo Pardea di Pizzo. Nonostante io feci vedere le armi a Luciano Macrì, fui bloccato nella cessione – quattromila euro – da Vacatello Antonio il quale mi disse che le armi le avrebbero prese loro trovando direttamente lui degli acquirenti”. Antonio Vacatello è accusato in Rinascita Scott di essere il luogotenente su Vibo Marina del boss di Zungri Giuseppe Accorinti.

Luciano Macrì

I retroscena della vicenda sarebbero stati raccontati ad Antonio Guastalegname da Valerio Navarra di Pernocari (frazione di Rombiolo), ritenuto collegato – specie per il traffico di stupefacenti – al boss di Zungri Giuseppe Accorinti. “Valerio Navarra mi raccontò che nel 2015-2016 c’era un problema dipeso dal fatto che Luciano Macrì aveva un debito con i nipoti di Accorinti e per questo Peppone Accorinti voleva uccidere Macrì. Per questo motivo Luciano Macrì si nascose – ha svelato Guastalegname – arrivando a fingere addirittura di essere rimasto vittima della lupara bianca”.

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