Alle origini del pregiudizio: furono i calabresi a mettere in croce Gesù?
La loro colpa? Essere taciturni, fieri e indipendenti. Ai calabresi rimarrà impresso un marchio d’infamia che li avrebbe individuati come diversi e sempre sospettabili. Fino all’accusa di essere stati sgherri di Pilato e, come tali, carnefici di Cristo. Un’accusa, però, mai provata fino in fondo.
I pregiudizi contro i calabresi hanno origini lontanissime. Eccone un esempio che, anche se può trovare un certo fondamento storico, deve essere considerato solo come una lontana possibilità, mai provata e in ogni caso frutto di una delle tante oppressioni patite dal nostro popolo.
Tra il III ed il II secolo a.C. la Calabria entrò in contatto con la potenza romana, nella drammatica partita giocatasi tra Romani, Bruzi, Italioti e Cartaginesi. Da Pirro ad Annibale, la regione venne a cadere progressivamente sotto il potere di Roma, finendo con il far parte del suo territorio e della sua storia.
Nel 216 a.C. i Romani riportarono una terribile sconfitta ad opera dei Cartaginesi. A Canne perirono 25.000 romani, 10.000 furono fatti prigionieri e la stessa Roma rischiò l’estinzione se Annibale non avesse esitato a sferrare il colpo finale. I Romani riuscirono a risollevarsi e la repressione contro i popoli che avevano appoggiato Annibale, tra cui i Bruzi, fu tremenda.
La potenza romana rese definitive le catene sui Bruzi e contro di loro, primi a chiamare Annibale ed ultimi ad abbandonarlo, fu dispiegata una persecuzione generalizzata che andava dalla guerra senza quartiere fin tra i monti della regione, all’abolizione dei culti tradizionali, per giungere alla pressoché generalizzata trasformazione dei Bruzi in schiavi. Ancora più gravi furono le conseguenze determinate dalla selvaggia deforestazione della penisola calabrese.
Roma chiedeva legname ed interi contingenti di uomini venivano spostati sulla Sila, sulle Serre, sull’Aspromonte per prelevare immense masse di patrimonio boschivo che, inesorabilmente, prendeva la via di Roma e delle province centro-settentrionali. Si avviava un biblico processo di dissesto del quadro oro-idrogeologico le cui conseguenze sarebbero durate fino ai nostri giorni.
Per punirli dell’appoggio dato ad Annibale, dopo la conquista ai Bruzi furono affidati solo compiti servili al seguito dei governatori romani comandati in terre lontane. Si instaurò la consuetudine di servirsi di loro per i compiti più duramente bassi e particolarmente per la carcerazione e la punizione corporale dei nemici di Roma. Questa prassi ostile ai Bruzi trova origine nella tenace opposizione con la quale questo popolo indigeno della Calabria interna, assai più delle colonie magno-greche della costa, aveva difeso la propria autonomia contro Roma, soprattutto al tempo delle guerre puniche e poi in decenni di guerriglia indomabile.
In Galilea, che non era sotto il dominio diretto di Roma, al tempo in cui visse Gesù, non erano di stanza legioni romane (le più vicine erano in Siria) ma erano presenti solo truppe ausiliarie reclutate su base locale, fra popolazioni vicine alla Giudea e ostili agli Ebrei.
Sembrerebbe, pertanto, priva di fondamento l’ipotesi della presenza, in quei luoghi, della X Legione nei cui ranghi qualcuno ha ipotizzato che potessero esserci anche soldati provenienti dal municipio di Vibo Valentia, città rimasta fedele a Roma. A Gerusalemme, nell’età di Tiberio, non vi erano milizie romane, i servizi di polizia essendo delegati alla guardia del Tempio o alle milizie civiche ebraiche. Lo stesso Pilato, la cui residenza ufficiale era a Cesarea, era in temporanea sede a Gerusalemme e portava al suo seguito una coorte ausiliaria, composta da elementi reclutati in Palestina.
Non sappiamo, e nessuno era in grado di saperlo né alcuno lo saprà mai, se in quel fatidico anno 33 d.C. a Gerusalemme, nella tragica giornata del Golgota, al seguito del quinto procuratore della Giudea, Ponzio Pilato, ci fossero anche servi bruzi, né se, e in quale misura, essi possano aver preso parte all’esecuzione della condanna a morte di Gesù detto il Nazzareno.
Era solo una remota possibilità, ma ce n’era abbastanza perché in seguito, in tardo Medioevo, si passasse all’accusa ai Bruzi di essere stati sgherri di Pilato, magistrato in Palestina e, come tali, carnefici di Cristo.
Nell’opinione comune, i Bruzi erano chiamati a pagare l’antica colpa d’aver voluto mantenere a tutti i costi la propria indipendenza. Ai calabresi rimarrà impresso il marchio dell’infamia che li avrebbe individuati come detestabilmente diversi e sempre sospettabili.
La loro colpa? Essere taciturni, fieri, indipendenti, insofferenti di tirannidi e oppressioni, pronti alla ribellione. Le stesse peculiarità che, per altri popoli, rappresenteranno delle qualità e virtù, per i calabresi assunsero invece, inspiegabilmente, una connotazione negativa che li avrebbe sempre accompagnati nella loro storia.