mercoledì,Novembre 27 2024

Quando eravamo re

La perdita dell'innocenza e la scoperta della (triste) realtà. E quella bacchetta magica che non abbiamo mai avuto.

Quando eravamo re

di Roberto Maria Naso Naccari Carlizzi

Quando eravamo bambini dopo le estenuanti partite di pallone ci riposavamo madidi di sudore sotto un grande albero di mimosa che resisteva e continuava a darci ombra e ristoro nonostante le traiettorie storte o deviate delle nostre pallonate da emuli di Zico, Bettega, Platini ed Antognoni. Nei commenti che seguivano alle azioni appena vissute, ai gol mangiati a fil di pali e traverse immaginari fatti solo di pietre e l’estensione più un qualcosa del braccio tra quei ragazzi più alti tra noi. Come le gocce di sudore che scendevano veloci sulle nostre facce arrossate così anche la fantasia ci portava lontano nel tempo e nello spazio.

Ci si raccontava barzellette e storielle, c’erano poi i vari cavalli di battaglia che venivano ogni volta raccontati con aggiunta di ricami e dettagli. Ci si dissetava alla fontanella del giardino, allora non c’erano problemi di potabilità, e se forse c’erano beh, siamo sopravvissuti benissimo. Non c’erano Gatorade, Enervit e bevande miracolose, al massimo ogni tanto qualcuno di noi sfoggiava una bottiglia con the al limone preparato dalla mamma e prontamente diluito per evitare poi non dormissimo.

C’era la sfilata mentale sciorinata come un rosario di luoghi che avremmo visitato e donne che avremmo avuto come spose, auto che ci saremmo comprati, mica una, tre quattro minimo, dando per scontato che saremmo diventati più bravi e migliori dei nostri genitori. Man mano che uscivano nuovi modelli, le liste si aggiornavano finché un giorno non abbiamo iniziato a lavare e poi ad usare le auto dei nostri genitori fino a pochi anni prima disdegnate. Si viveva bene e con poco, con diecimila lire di benzina andavi e tornavi da Tropea passando per Vibo facendo su e giù per il corso ed una puntatina a Pizzo alla marina, con altre 10 mangiavi la pizza con porzione di patatine ed anche la birretta che spesse volte erano anche due.

Ci si affacciava alla patente terminato il liceo colla prospettiva certa di dover andare fuori a studiare, per aprirci un ulteriore orizzonte di futuro e prospettive, quelle che questa terra già non offriva e che le poche occasioni avute, non aveva saputo sfruttarle. Poi da fuorisede, a ricostruirsi e rimodularsi pensando che le amicizie fossero le stesse di quelle della tua infanzia e della scuola, le prime delusioni dovuti al gap culturale tra il nostro modo di vedere la vita e chi invece è cresciuto sempre nella giungla cittadina. È passato il tempo, a molti di noi l’alloro ha cinto il capo, molti sono ancor più andati lontano, c’è chi è tornato e chi è sparito, resettando anni d’amicizia e sogni, chi è tornato ha trovato le rovine materiali e dell’anima. Chi tra noi è ancora sognatore, chi è disincantato.

Chi è troppo professionalizzato qui non trova posto, chi non lo è, non lo trova ugualmente, ci si sente comunque sia pesci fuor d’acqua ritrovandosi poi ad un tavolo con persone che non t’interessano con in comune una volontà velleitaria e non ferrea per fare insieme qualcosa, per cambiare la realtà, dare uno schiaffo all’apatia, destare l’inazione, una risposta al silenzio, prendere il testimone. Come le sfilate del nulla e le continue conferenze stampa di associazioni ed enti ad annunciare montagne per poi partorire topolini.

La verità è che la vita va troppo veloce o forse siamo noi troppo lenti iper stimolati da esigenze che non ci servono, bestie da consumo ed esecutori materiali del luogo comune e dell’omologazione, sovraccarichi di strutture mentali e materiali imposteci e che sono solo fardelli, grevi pesi che impediscono il semplice passo, dove tutti dobbiamo essere uguali per forza e per legge, dove non possiamo più esprimere un concetto eterodosso perché in contrasto col politicamente corretto e coll’ortodossia imperante della mediocrità al potere.

Smessi gli abiti di fango chiusi in noi stessi, in casseforti di materiale in serie, ciclico incedere fatto da un libro che ci porta lontano, ma che poi ci consegna a Morfeo sentinella dei nostri sogni nel nostro letto, nella nostra camera, nella nostra casa, nel nostro noioso e gretto paesello.

E sogniamo di cuando eramos reyes, di quando eravamo bambini sotto quella mimosa, ed un compagnuccio di giochi ci chiedeva: “esprimi un desiderio” e senza esitazione chiedevamo la bacchetta magica. “Non si può” ci veniva risposto allora, “non si può”, ci viene detto ancora oggi, senza manco chiedere la bacchetta magica, ma solo quello di vivere in un posto normale.

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