lunedì,Dicembre 23 2024

L’immobile della mafia sulla strada romana a Vibo, il caso finisce in Parlamento

Il deputato Sapia presenta un’interrogazione al ministro Franceschini. Chiesto il trasferimento dei funzionari della Sovrintendenza che su pressioni di personaggi massonici e politici avrebbero favorito la costruzione di Giovanni Giamborino

L’immobile della mafia sulla strada romana a Vibo, il caso finisce in Parlamento
In foto nel riquadro da sinistra Francesco Sapia e Dario Franceschini. La deposizione del maggiore Manzone nel maxiprocesso Rinascita Scott
Giovanni Giamborino

Finisce in Parlamento ed all’attenzione del Governo la vicenda della strada di epoca romana coperta dal cemento per realizzare un palazzo a due passi dall’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia e dal liceo Classico. Una vicenda al centro del maxiprocesso Rinascita-Scott e raccontata in aula dagli investigatori del Ros di Catanzaro. E’ il deputato di Alternativa, Francesco Sapia, ad  aver presentato un’interrogazione al ministro della Cultura, Dario Franceschini, per chiedere «quali urgenti iniziative di competenza abbia assunto od intenda assumere nel merito; quali informazioni abbia sulla vicenda; se con solerzia non intenda agire, e come, nel caso, per assicurare l’imparzialità degli uffici alle sue dipendenze; se ritenga opportuno trasferire altrove i funzionari citati» in alcuni atti del Ros di Catanzaro e nelle intercettazioni dell’inchiesta Rinascita Scott, anche se «non indagati». «La vicenda – spiega il parlamentare di Alternativa – riguarda la copertura di quei resti da parte di un soggetto finito nel mirino degli investigatori, malgrado l’area fosse sottoposta a vincolo archeologico» grazie all’interessamento di pezzi importanti della massoneria vibonese e calabrese, sino ai vertici della Sovrintendenza e del Ministero.

Ad avviso del deputato Sapia, «il ministro Dario Franceschini ha il dovere di chiarire e di intervenire, visto che sarebbe inammissibile se, rispetto alla tutela dei beni archeologici vibonesi, ci fossero ostacoli ed affari di natura criminale o ingerenze indebite di altri potentati legati alla massoneria, che a Vibo Valentia, come ricordava il procuratore Mario Spagnuolo, ha diverse logge coperte e con radici ben ramificate. La magistratura – osserva il deputato – punisce i reati. In questo senso, come titolare dell’accusa il procuratore Nicola Gratteri sta facendo un ottimo lavoro contro la ’ndrangheta e il cosiddetto “mondo di mezzo”, ma ci sono responsabilità amministrative e politiche che competono ai vari livelli di governo della cosa pubblica, che, a partire dai ministeri, vanno esercitate nell’interesse pubblico. La ’ndrangheta e i colletti bianchi – conclude Sapia – non possono danneggiare o distruggere i beni archeologici della Calabria». L’immobile che avrebbe coperto la strada romana appartiene a Giovanni Giamborino di Piscopio, imputato nel maxiprocesso quale presunto factotum del boss Luigi Mancuso. L’immobile già in costruzione (un piano interrato, un piano terra e due piani rialzati) per un totale di «otto subalterni», insiste su un’unica particella equamente suddivisa per i tre figli dello stesso Giamborino, che in realtà «era di Giovanni Giamborino – è emerso in aula nel corso della deposizione del maggiore Manzone – grazie ai fondi messi a sua disposizione sin dal 1987 dai tre fratelli Mancuso» ovvero Antonio, Pantaleone (detto “Vetrinetta”) e Luigi Mancuso.

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