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Sentenza della Cassazione: ginecologo dell’ospedale di Vibo condannato per procurato aborto

Rigettato il ricorso dell’imputato. Per i giudici l'evento morte si sarebbe potuto evitare oltre ogni ragionevole dubbio. Il piccolo Santiago Arena è deceduto nel 2014

Sentenza della Cassazione: ginecologo dell’ospedale di Vibo condannato per procurato aborto

La quinta sezione penale della Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza con la quale il 3 novembre scorso ha rigettato il ricorso di Rocco Fiaschè, 61 anni, di Rosarno, ginecologo dell’ospedale “Jazzolino” di Vibo Valentia. Va così definitiva la condanna a 8 mesi per il reato di procurato aborto colposo. La sentenza di secondo grado era stata emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 19 ottobre 2020 ed era stato rideterminato in senso favorevole all’imputato il trattamento sanzionatorio con la revoca delle statuizioni civili a seguito della revoca della costituzione della parte civile.

Rocco Fiaschè era finito sotto processo in qualità di medico di turno presso il reparto di ginecologia dell’ospedale di Vibo Valentia ed era accusato «di non aver provveduto tempestivamente, secondo le linee guida di riferimento, a predisporre l’intervento urgente di taglio cesareo nei confronti di Maria Antonietta Ferrinda nei trenta minuti successivi all’avvenuta diagnosi di sofferenza fetale. In particolare, all’imputato è stato contestato di aver omesso di attivarsi per effettuare l’intervento in contemporanea con altro analogo cui si era dedicato, allertando il secondo medico di turno ed il primario al fine della predisposizione di una seconda equipe medica, così non impedendo l’interruzione della gravidanza per morte del feto». [Continua in basso]

Secondo la Cassazione, «i giudici di merito, contrariamente a quanto asserito dalle difese, hanno correttamente tracciato gli obblighi organizzativi gravanti su Fiaschè, distinguendoli da quelli propri del primario del reparto. L’addebito omissivo, difatti, non riguarda il non aver posto rimedio ad asserite carenze strutturali e di personale del nosocomio in periodo festivo, bensì di non aver adoperato risorse presenti in ospedale e personale prontamente reperibile, come riconosciuto in particolare dalla sentenza di primo grado».

Ad avviso della Suprema Corte, entrambe le sentenze, di primo e di secondo grado, «coerentemente a quanto riportato nel capo di imputazione, evidenziano anzitutto le gravi omissioni addebitabili all’imputato nel corso della prima ora del turno, tra le ore 8:00, quando ha sostituito il medico smontante, e le ore 8:55, quando ha iniziato il primo parto cesareo sulla paziente Rumbolà. Periodo nel corso del quale egli non si è adoperato per gestire entrambe le emergenze in reparto, pur essendovi tenuto secondo le linee guida rilevanti e pur avendo le risorse, strutturali e umane, e i necessari poteri per apprestare due sale operatorie in contemporanea, onde far fronte a situazioni emergenziali che le stesse sentenze riconoscono essere analoghe, come risultante dalle deposizioni dibattimentali al riguardo citate dai giudici del merito».

Ed ancora: ad avviso dei giudici, il ginecologo Rocco Fiaschè era stato «informato della sofferenza fetale della Ferrinda e del parto gemellare della Rumbolà, informazioni che dalle sentenze, rimaste incontestate sul punto, risulta abbia acquisito alle 7:55, ossia già prima di iniziare il proprio turno». Rocco Fiaschè avrebbe quindi dovuto «dare le opportune indicazioni per la preparazione delle due sale parto disponibili e per richiamare il personale reperibile necessario per i due interventi. Correttamente, dunque, la Corte ha ritenuto che se l’imputato si fosse adoperato in tal senso sin dal primo momento in cui ha avuto consapevolezza di dover gestire due casi egualmente urgenti si sarebbe evitato l’evento morte oltre ogni ragionevole dubbio, posto che le linee guida NICE imponevano di iniziare l’intervento entro 30 minuti dalla prima rilevazione della sofferenza fetale, registrata alle ore 7:55, ossia più di un’ora prima delle 9:08, ultimo momento in cui si ha prova certa della vitalità del feto». Da qui il rigetto del ricorso del ginecologo Rocco Fiaschè.

Il piccolo Santiago Arena, di Tropea, è morto il 2 giugno 2014. I familiari del piccolo Santiago, Maria Antonietta Ferrinda e Marco Arena, in primo grado dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia erano assistiti dagli avvocati Carmine Pandullo e Francesco Arena.

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