sabato,Novembre 23 2024

‘Ndrangheta: la Cassazione conferma l’ergastolo per il boss Gallace

Respinto il ricorso del capoclan delle Preserre vibonesi che aveva chiesto la sostituzione del carcere a vita con la reclusione a 30 anni. Sconta la pena per uno dei fatti di sangue più cruenti avvenuti in Calabria

‘Ndrangheta: la Cassazione conferma l’ergastolo per il boss Gallace

Resta confermata la condanna all’ergastolo per Antonio Gallace, 54 anni, nativo di Gerocarne e ritenuto fra i principali boss delle Preserre vibonesi. La Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il suo ricorso avverso l’ordinanza con la quale la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro – in funzione di giudice dell’esecuzione – ha rigettato la richiesta di sostituzione del carcere a vita, allo stesso definitivamente inflitta, con quella di anni 30 di reclusione. Secondo la Suprema Corte, per potere ottenere in sede esecutiva la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella di anni trenta di reclusione è indispensabile l’ammissione al giudizio abbreviato tra il 2 gennaio e il 24 novembre 2000, mentre in ogni altro caso non vi è alcuna ragione per estendere al condannato lo sconto di pena di cui trattasi, poiché il diritto sostanziale ad ottenerlo non può realizzarsi in assenza della celebrazione del rito speciale, in quanto non richiesto ovvero non potuto richiedere o non ammesso secondo le disposizioni processuali via via in vigore di certo sottoposte al regime tempus regit actum.

Nel caso di specie, Antonio Gallace non è stato giudicato con il rito abbreviato ed in ogni caso secondo la Cassazione “non è mai possibile in sede di esecuzione contestare la legittimità della pena irrogata con pronunzia divenuta irrevocabile. Ciò nemmeno prospettando tramite l’incidente di esecuzione questioni di legittimità costituzionale che, invece, avrebbero potuto essere proposte e pertanto decise in sede di cognizione, sì da rimanere ormai definitivamente precluse nella fase dell’esecuzione della pena”. Antonio Gallace è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe Russo e ad 8 anni per associazione mafiosa nel processo nato dall’operazione antimafia denominata “Luce nei boschi”. Il delitto di Giuseppe Russo, all’epoca di 22 anni, è uno dei fatti di sangue più cruenti avvenuti nel Vibonese negli ultimi 30 anni. La vittima è stata rapita ad Acquaro e poi uccisa il 15 gennaio 1994 con il cadavere bruciato e rinvenuto in una fossa solo mesi dopo, il 21 marzo 1994, e solo grazie alle rivelazioni di uno dei suoi assassini – Gaetano Albanese di Candidoni – che si decise a collaborare con la giustizia. Le dichiarazioni del pentito permisero di appurare che il rapimento e l’omicidio di Giuseppe Russo venne deciso proprio dal boss Antonio Gallace, che all’epoca esercitava il proprio potere mafioso sul paese di Arena, che non accettava il fidanzamento del giovane con sua cognata. Nel delitto sono rimasti coinvolti anche anche elementi delle “famiglie” Albanese di Candidoni, Oppedisano e Morfei di Monsoreto di Dinami. Nelle sentenze si parla di “visione distorta delle ragioni di onore familiare, tipiche di chi con atteggiamento mafioso vuole dimostrare la supremazia sul territorio”. Un delitto che costa ad Antonio Gallace la condanna all’ergastolo.   In foto dall’alto in basso: Antonio Gallace e Giuseppe Russo

 

 

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