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Il ghiro per le mangiate di ‘ndrangheta: cacciato di frodo a Serra e Nardodipace

Nelle “Serre”, dove si incrociano le province di Catanzaro, Vibo Valentia e Reggio Calabria, si trova la tradizione più radicata

Il ghiro per le mangiate di ‘ndrangheta: cacciato di frodo a Serra e Nardodipace

Con il sequestro dei 10 esemplari di questa mattina a Palmi da parte dei carabinieri, sono 265 i ghiri rinvenuti dalle forze di polizia nella provincia di Reggio Calabria, solo negli ultimi 30 giorni. E spesso, il rinvenimento dei piccoli animali, è accompagnato dal sequestro di armi e droga. La caccia ai ghiri ha origini lontane e nella cultura ‘ndranghetista ha significati ancestrali. L’uso di mangiarlo, bollito nel sugo o arrosto, risale ai legionari romani, che si portavano dietro contenitori in cui allevavano i roditori per avere a disposizione cibo per i momenti di bisogno. [Continua in basso]


Nella provincia di Reggio, dove stanno avvenendo diversi sequestri negli ultimi mesi, la consumazione del ghiro è una sorta di celebrazione di un simbolo di potere. Portare piatti a base di ghiri in incontri organizzati per scambiarsi favori vuol dire legare gli altri con un patto al quale è difficile sottrarsi. Più volte nelle intercettazioni della malavita della locride si parla di cene pacificatrici a base di ghiri tra cosche contrapposte.

La caccia al ghiro è diffusa in tutta la Calabria: nel Cosentino sul versante ionico (Rossano), sull’altipiano della Sila (San Giovanni in Fiore) e sul versante tirrenico (Orsomarso). In provincia di Crotone nella zona di Castelsilano (Sila Piccola). Ma è nelle “Serre”, dove si incrociano le province di Catanzaro, Vibo Valentia e Reggio Calabria, che si trova la tradizione più radicata, nel territorio di Guardavalle, Santa Caterina dello Ionio, Nardodipace, Serra San Bruno, Stilo e Bivongi. La Lav stima che nel solo comune di Guardavalle vengano catturati 20.000 animali l’anno, rivenduti a 5 euro l’uno. Numeri impressionanti. [Continua in basso]

Le cronache locali degli ultimi anni sono costellate di denunce di cacciatori di frodo sopresi a cacciare i ghiri nei boschi dell’Aspromonte o con congelatori pieni dei piccoli animali. D’altronde, non è certo un fatto nuovo il collegamento tra la caccia al ghiro e la criminalità organizzata calabrese, come dimostrano alcune inchieste compiute negli scorsi anni.

Nell’aprile 2016 in provincia di Reggio Calabria, per esempio, nel corso di un’operazione contro le ‘ndrangheta, condotta dai carabinieri e coordinata dalle procure di Locri e Palmi, arrestarono 27 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di traffico di armi ed ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, eroina e marijuana, ricettazione, detenzione e porto abusivo di armi, furto venatorio e caccia di frodo.

Gli indagati si dedicavano anche al bracconaggio di cinghiali e soprattutto di ghiri, che cacciavano abusivamente nel Parco dell’Aspromonte. In quell’occasione furono trovati 300 i ghiri uccisi. Di connessione tra il ghiro e la ‘ndrangheta parla anche l’inchiesta Solare, indagine coordinata dalla Dda di Reggio Calabria nel 2008 e che portà all’arresto di circa 200 indagati considerati trafficanti di droga. Nelle pagine dell’ordinanza, gli inquirenti appuntarono diverse occasioni in cui nelle celeberrime “mangiate” di ‘ndrangheta, una delle pietanze servite agli uomini delle cosche nel corso di summit, di riunioni o di incontri di chiarimenti.

Le intercettazioni dei Ros avevano svelato che le famiglie mafiose della Locride, quando avevano la necessità di un incontro pacificatore, ricorrevano a pranzi in montagna a base di ghiri uccisi illegalmente. Va chiarito, comunque, che non solo gli affiliati alle cosche calabresi mangiano i ghiri.

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