‘Ndrangheta: il clan dei Piscopisani e l’evasione di Bruno Emanuele
Il boss delle Preserre doveva poi uccidere Pantaleone Mancuso (Scarpuni), mentre Raffaele Moscato doveva eliminare Rinaldo Loielo
Il boss delle Preserre vibonesi Bruno Emanuele doveva evadere. Parola del pentito Raffaele Moscato. Nel 2015 il boss di Gerocarne e Sorianello, “braccio armato” del locale di ‘ndrangheta di Ariola, era già stato condannato a due ergastoli per gli omicidi commessi a Cassano di Antonio Bevilacqua e Nicola Bruzzese, a capo del clan degli zingari contrapposti ai Forastefano, alleati dello stesso Emanuele, e poi a 22 anni di reclusione per associazione mafiosa nel corso del processo “Luce nei boschi” celebrato a Vibo Valentia. “Diverse volte abbiamo provato a far evadere Bruno Emanuele dal carcere – racconta Moscato – ed allo scopo abbiamo fatto decine di incontri, in particolare con un certo Pasquale di Cassano allo Jonio, Linuccio Idà, Giovanni Emmanuele e Domenico con l’Audi A3 di cui si parla nelle intercettazioni del bar Tony di Nicotera e con un sodale di Pasquale di Cassano di cui non ricordo il nome. L’azione – continua Moscato – non è stata mai portata a termine in quanto arrestavano sempre qualcuno. Ad esempio l’ultima vlta hanno arrestato Giovanni Emmanuele per il fatto delle armi nell’operazione Calibro 12 a Soriano, la penultima volta, invece, era avvenuto l’arresto in Puglia di Pasquale di Cassano per cocaina ed eroina nel 2012 o 2013”. Il collaboratore di giustizia ricorda quindi che “l’evasione doveva avvenire mentre Bruno Emanuele aveva il processo a Cosenza, quando prese l’ergastolo per l’omicidio Bruzzese degli zingari quale favore a Forastefano, quello che oggi è pentito. Bruno Emanuele voleva infatti bene a Tonino Forastefano più che ad un fratello ed avrebbe dato la vita per lui. Forastefano, in cambio, quale favore, aveva partecipato all’omicidio dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo a Gerocarne”.
Raffaele Moscato spiega che l’intenzione di far evadere il boss Bruno Emanuele derivava dal timore che lo stesso fosse sottoposto a regime di 41 bis, il carcere duro, con impossibilità, quindi, di comunicare con l’esterno. “Nella zona delle Preserre – rimarca il collaboratore – oggi sono vincenti gli Emanuele sui Loielo, sia per motivi legati alla faida, sia per monitorare l’attività delle forze dell’ordine e l’installazione di telecamere fra Soriano, Gerocarne e Sorianello. Qui ci sono soggetti appostati con i binocoli per vedere chi arriva. Questa cosa me la disse Giovanni Emmanuele affermando che due suoi uomini si occupavano di questo per lui”. Una volta fuori dal carcere, Bruno Emanuele aveva garantito sia ai Piscopisani, quanto al clan Bonavota di Sant’Onofrio ed ai Tripodi di Portosalvo (oltre al gruppo capeggiato a Vibo da Andrea Mantella e Francesco Scrugli) che avrebbe eliminato personalmente il boss Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, e poi il pentito – e suo ex amico – Tonino Forastefano di cui avrebbe conosciuto la località protetta in cui si trovava sotto la nuova veste di collaboratore. Bruno Emanuele, una volta evaso, sarebbe stato pronto a fingersi morto per gli altri clan e la giustizia facendo portare “il lutto alla sua famiglia, fingendo di essere morto per lupara bianca”. Giovanni Emmanuele, invece, avrebbe chiesto a Rosario Battaglia una persona dei Piscopisani per commettere un agguato nelle Preserre vibonesi. La scelta sarebbe ricaduta proprio su Raffaele Moscato il quale si è però rifiutato spiegando a Rosario Battaglia che i Piscopisani dovevano prima sistemare i fatti di sangue che li vedevano direttamente impegnati nello scontro con il clan Patania di Stefanaconi. Vittima designata di Giovanni Emmanuele sarebbe stato Rinaldo Loielo, all’epoca legatissimo al boss Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni”. LEGGI ANCHE: ‘Ndrangheta: il clan dei Piscopisani e la “talpa” nelle forze dell’ordine
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