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‘Ndrangheta, le rapine per rimpinguare le casse dei Piscopisani: luce su nove episodi

Il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato era diventato il terrore dei commercianti. Dai “colpi” ai supermercati e alle tabaccherie a quello da 130mila euro nei confronti di una ditta di spaccio alimentare

‘Ndrangheta, le rapine per rimpinguare le casse dei Piscopisani: luce su nove episodi

Spregiudicato, determinato, senza scrupoli. Raffaele Moscato era un «azionista» scaltro e affidabile. Si è pentito dopo avere ammazzato un boss, ma prima dell’omicidio eccellente di Fortunato Patania non si era mai tirato indietro davanti ad intimidazioni da compiere, gente da convincere, perlopiù con le cattive, da piegare al volere del clan dei piscopisani. Era un tipo che la pistola la maneggiava con estrema familiarità. La usava come “strumento” del mestiere per le estorsioni, ma la usava anche per le rapine. Quello delle rapine è un aspetto centrale nell’inchiesta “Rimpiazzo”, che ieri ha permesso alla Dda di Catanzaro e alla Polizia di smantellare l’organizzazione criminale con base nella frazione di Vibo Valentia, che per gli inquirenti è a tutti gli effetti una cosca di ‘ndrangheta. Il ricorso alle rapine – hanno spiegato le autorità in conferenza stampa – era la via breve per incassare denaro da reinvestire nel più lucroso mercato della droga, nel quale stavano tentando di imporsi arrivando a vendere la “neve” anche ai palermitani. E nelle rapine, come detto, Moscato non si tirava mai indietro.

moscato raffaeleNell’infinito elenco dei capi d’imputazione, la prima contestata è quella a danno di un dipendente del supermercato Eurospin, avvenuta il 26 novembre 2010. Quella sera Moscato, in compagnia di Angelo David, si para davanti al dipendente dell’esercizio commerciale che stava andando in banca a depositare l’incasso della giornata. I due non vanno troppo per il sottile: prima scaraventano l’uomo a terra, poi lo minacciano con la pistola e gli danno un calcio in faccia. A quel punto non è difficile per loro impossessarsi della cassetta piena di quattrini, 24mila euro, e dileguarsi nel nulla a bordo di un’auto guidata da Michele Fortuna. Il 21 febbraio 2011 è ancora Moscato, stavolta insieme ad un altro indagato, Nicola Finelli, a mettere a segno un’altra rapina. L’obiettivo prescelto è una tabaccheria di via Parodi a Vibo Marina. Moscato, casco integrale in testa, entra, punta la pistola ai presenti, si fa consegnare i tremila euro di incasso dalla proprietaria e si dilegua a bordo di un’auto condotta da Finelli. [Continua dopo la publicità]

In quel periodo a Vibo Marina c’è tensione tra i commercianti. Una tensione fondata, perché passano un paio di mesi e il 16 aprile Moscato entra ancora in azione. Il colpo, questa volta, lo mette a segno con Angelo David in un negozio di via dell’Industria, con casco e calza di nylon. Moscato come al solito impugna una calibro 38 e la punta ai titolari. Anche qui incassano il bottino, 500 euro, e fuggono. Ma il colpo grosso, l’attuale pentito, lo mette a segno qualche giorno prima. È il 28 marzo 2011 quando Moscato, su indicazione – secondo gli inquirenti – di Michele Silvano Mazzeo, si presenta nell’ufficio della ditta “Fratelli Corigliano”, che smercia generi alimentari all’ingrosso. Entra, piazza sul muso del contabile una calibro 45 ed agguanta l’incasso: 130mila euro. Un bottino ricco che sarebbe servito a rimpinguare le casse del clan.

L’inchiesta ha permesso di fare luce su numerose altre rapine, delle quali si è autoaccusato proprio Moscato. Un tipo che era capace di compierle anche da solo, senza l’aiuto di nessuno se non della sua pistola. Come quella che gli è fruttata 20mila euro in gioielli, sottratti a due persone in via Murmura, a Vibo, ad agosto 2011. Ce ne sono anche altri, di casi risolti ai danni di attività commerciali. È il caso della rapina da 20mila euro al negozio “Dolci ricordi”, su corso Umberto I a Mileto, del 10 ottobre 2011; o di quella al supermercato Despar di via Don Mellano del 23 novembre successivo, da 250 euro; o ancora quella all’alimentari Nusdeo di via Vittorio Veneto, commessa appena quattro giorni dopo e fruttata tremila euro. O, infine, quella di un furgone Doblò rubato a Lamezia Terme. Per questi fatti deve rispondere il solo Moscato. Un tipo che, per l’onorata società di Piscopio, le doti di ‘ndrangheta se le era conquistate sul campo.

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