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Rinascita Scott: Michele Camillò, la figura del padre e la nascita di una ‘ndrina distaccata a Vibo

La rissa a Pizzo fra i vibonesi ed i Maiolo di Acquaro con l’intervento dei Bonavota quali pacieri

Rinascita Scott: Michele Camillò, la figura del padre e la nascita di una ‘ndrina distaccata a Vibo
Nel riquadro Michele Camillò

La nascita del c.d. “Corpo rivale” a Vibo Valentia e la creazione di una nuova ‘ndrina staccata dal “Buon Ordine” creato fra i diversi clan che si sono divisi la città sin dal 2012. Ha parlato anche di questo Michele Camillò nel corso della deposizione nel maxiprocesso Rinascita Scott che si sta tenendo nell’aula bunker di Lamezia dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Un esame condotto dal pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, che ha esplorato l’evoluzione delle dinamiche criminali a Vibo Valentia sino ai nostri giorni. «Quando nel 2016 rientro da La Spezia a Vibo – ha dichiarato il collaboratore – trovo la novità della creazione del Corpo rivale, cioè era stata creata una ‘ndrina separata dal clan Lo Bianco-Barba con a capo Totò Macrì, padre di Mommo Macrì. Oltre a loro due ne facevano parte anche Salvatore Morelli, Bartolomeo Arena, Francesco Antonio Pardea, Luigi Federici, Giuseppe Suriano, Carmelo Chiarella, Marco Startari, mio nipote Domenico Camillò, mio fratello Giuseppe Camillò, Domenico Tomaino, Michele Manco, Domenico Pardea Il Lungo, Carmelo Pardea, Luciano Macrì. A loro si sono poi aggiunti Michele Dominello, Michele Pugliese Carchedi e Marco Ferraro. Mio padre Domenico Camillò veniva interpellato dai vertici di questa ‘ndrina distaccata costituiti da Totò Macrì, Salvatore Morelli, Francesco Antonio Pardea, Bartolomeo Arena, Luciano Macrì». [Continua in basso]

Francesco Antonio Pardea

Michele Camillò ha quindi ricordato l’affiliazione alla ‘ndrangheta di Michele Dominello e Michele Pugliese Carchedi (fratello di Giuseppe Pugliese Carchedi ucciso nel 2006 dal clan dei Piscopisani). «La loro affiliazione è avvenuta a casa di Bartolomeo Arena. Eravamo presenti io, Michele Manco, Francesco Antonio Pardea, Domenico Tomaino, Giuseppe Camillò e Bartolomeo Arena».

Marco Ferraro è stato poi indicato dal collaboratore come l’autore del tentato omicidio del custode del cimitero di Vibo, Alessandro Sicari, raggiunto il 21 gennaio 2018 da due colpi d’arma da fuoco. «Nel 2019, invece, Marco Ferraro e Filippo Di Miceli – ha raccontato Michele Camillò – si sono avvicinati a Francesco Antonio Pardea e così anche Luigi Federici che inizialmente si accompagnava a Loris Palmisano mentre dopo si è avvicinato al nostro gruppo ed in particolare a mio nipote Domenico Camillò. Luigi Federici si occupava dello spaccio di droga ed era presente nella rissa a Pizzo contro i Maiolo ed in altra rissa al Tribeca di Vibo».

La rissa a Pizzo con i Maiolo di Acquaro

Giuseppe Camillò

Siamo nel 2019 e il giovane Domenico Camillò litiga alla Marinella di Pizzo con alcuni giovani dei Maiolo di Acquaro. «Il giorno dopo – ha spiegato Michele Camillò – Bartolomeo Arena e Francesco Antonio Pardea sono andati a parlare con mio padre perché Domenico Camillò aveva picchiato uno dei Maiolo che però avevano reagito pestando Luigi Federici. Alla rissa era presente anche Giuseppe Suriano. Ricordo che i Maiolo si erano rivolti dopo la lite a Salvatore Mazzotta che comanda a Pizzo Calabro insieme a mio cugino Domenico Pardea. Alla fine mio fratello Giuseppe Camillò contattò Gino Vitrò, il quale era a sua volta amico di Salvatore Bonavota di Sant’Onofrio. Ci fu così un incontro fra mio fratello Giuseppe e Salvatore Bonavota e il problema con Salvatore Mazzotta, per interessamento dei Bonavota, finì lì». [Continua in basso]

La figura del patriarca Domenico Camillò

Domenico Camillò

Michele Camillò nel corso della sua deposizione non ha mancato di accusare anche il padre Domenico Camillò (cl. ’41). «Dopo la morte nel 2014 di Carmelo Lo Bianco, la carica più alta a livello di ‘ndrangheta a Vibo Valentia la deteneva mio padre che impose il Buon Ordine. Paolino Lo Bianco, figlio di Carmelo, era all’epoca in carcere ed aveva una dote inferiore a quella di mio padre che era collegato ai Bellocco di Rosarno. Ricordo che mio padre fece molti favori a Peppe Bellocco tramite imbasciate portate dalla moglie di quest’ultimo fra il 2008 ed il 2009 per ottenere favori in ospedale. Peppe Bellocco era intimo con mio padre». Ma rapporti stretti Domenico Camillò avrebbe avuto anche con «Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni, Paolo Lo Bianco, Enzo Barba, Antonio Lo Bianco. La riverenza nei confronti di mio padre li notavo anche nel periodo natalizio quando a casa nostra venivano a trovarlo Totò Macrì e Antonio Lo Bianco che gli regalavano delle bottiglie di liquore in segno di rispetto e poiché mio padre – ha dichiarato Michele Camillò – aveva una dote di ‘ndrangheta più alta della loro».

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