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‘Ndrangheta, l’ascesa di Salvatore Arone dalla faida di Sant’Onofrio al “regno” di Carmagnola

Per i magistrati di Torino si tratta della figura di vertice del clan Bonavota in Piemonte. Secondo un pentito avrebbe fatto uccidere un ragazzo solo perché «scostumato» 

‘Ndrangheta, l’ascesa di Salvatore Arone dalla faida di Sant’Onofrio al “regno” di Carmagnola

A Carmagnola e dintorni comandava lui, e non da ieri. Salvatore detto Turi Arone, 60 anni, viene ritenuto dagli inquirenti la mente del clan Bonavota di Sant’Onofrio che è storicamente radicato in Piemonte. Secondo la Dda di Torino, che ha portato a termine l’operazione “Carminius”, Salvatore Arone sarebbe stato al vertice del locale di ‘ndrangheta di Carmagnola che da quelle parti gestiva affari illeciti anche per i calabresi. Una presunta associazione mafiosa attiva «da decenni». A consolidare la tesi della magistratura antimafia di Torino, anche le numerose dichiarazioni dei pentiti che convergono nell’individuare “Turi” Arone e il fratello Francesco – a lui subordinato e con ruoli «maggiormente operativi» – come «vertice assoluto della ‘ndrina Bonavota sul territorio piemontese». Uno dei collaboratori vibonesi (originario di Maierato, trasferitosi poi in Piemonte), Francesco Costantino, racconta un piccolo ma emblematico episodio: «Francesco Arone fa le veci del fratello Salvatore negli affari illeciti tant’è che Antonino De Fina, in un’occasione, alla mia presenza, dovette rendergli conto dell’apertura di un locale pubblico per avere la sua autorizzazione». Il peso criminale di Arone, i magistrati lo desumono anche dal suo coinvolgimento in un importante episodio di sangue avvenuto nel lontano 1990. Il gip di Torino, nel 1991, firmò un’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti oltre che di Emanuele De Fina e Domenico Di Leo, accusati di far parte di un’associazione mafiosa e di essere coinvolti nel tentato omicidio di Paolo Augurusa, risalente al 23 settembre 1990, quando quest’ultimo venne attinto da numerosi colpi di pistola esplosi a Torino. Quel fatto di sangue era la risposta ad un tentato omicidio subito proprio da Arone il 2 agosto precedente, colpito dal piombo rivale mentre era in auto in compagnia di Antonino De Fina

Per dimostrare l’intraneità e l’attualità della posizione di Salvatore Arone nella ‘ndrangheta, il gip nell’ordinanza “Carminius” richiama quindi una sentenza del 1996 emessa dal Tribunale di Vibo Valentia, «nella quale si faceva riferimento ad un summit mafioso tenuto a San Gregorio d’Ippona nell’abitazione di Fiarè Rosario, capo dell’omonima cosca. Quella riunione, richiesta dal clan Petrolo, era finalizzata al raggiungimento della pax mafiosa con la cosca Bonavota che, come dichiarato dal collaboratore Michienzi Rosario, respingeva la proposta di pace e replicava con il tentato triplice omicidio in danno di Augurusa Paolo, Cugliari Fedele e Petrolo Rosario. Nella citata sentenza si legge che al summit parteciparono: Matina Pasquale, in rappresentanza del clan Petrolo, ed Arone Salvatore e un cognato di questi in rappresentanza di quello dei Bonavota». Oltremodo «allarmante», a detta del gip, appare poi una circostanza, che comunque è ancora da verificare, secondo la quale Salvatore Arone avrebbe ordinato l’omicidio di un ragazzo siciliano, figlio di un pregiudicato di Carmagnola, perché lo stesso giovane si sarebbe comportato da «scostumato», ossia sarebbe stato scortese nei confronti di Arone. Circostanza riportata sempre dal pentito Costantino, che «quantunque risulti un dichiarato isolato, trattasi di dato di grave allarme, specie ove lo si apprezzi con l’attendibilità del Costantino e con gli ulteriori elementi disponibili». Secondo il gip, infatti, Salvatore Arone risulta «oggettivamente gravato – oltreché da una gravissima condanna in tema di sostanze stupefacenti – da un precedente giudiziario relativo ad un fatto di omicidio commesso proprio nel paese di residenza di Carmagnola in data 25.12.1980, peraltro arricchito da plurime contestazioni in materia di armi». Un omicidio che avrebbe messo in chiaro le cose in Piemonte, permettendo agli Arone di dimostrare la propria rilevanza criminale fino ad arrivare, addirittura, a «“vivere di rendita” e di godere di una fama criminale del tutto indipendente dal compimento di nuovi atti di violenza e/o di intimidazione».      LEGGI ANCHE‘Ndrangheta: “Carminius”, le accuse inedite del pentito Mantella contro i Bonavota

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