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Scomparsa di Maria Chindamo, senza esito le ricerche nelle campagne di Limbadi

A condurre i carabinieri in alcuni terreni di contrada Montalto è stata una lettera anonima che presenta diverse analogie con altra missiva e con le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia 

Scomparsa di Maria Chindamo, senza esito le ricerche nelle campagne di Limbadi

Il corpo di Maria Chindamo non si trova. Nonostante i nuovi scavi, l’avvio di nuove ricerche in diversi siti di località Montalto di Limbadi – non lontano dall’ingresso del suo podere di campagna dal quale è stata fatta sparire dopo essere scesa dall’auto il 6 maggio del 2016 – della donna di Laureana di Borrello nessuna traccia. I cani molecolari, giunti sul posto alla ricerca di ogni utile traccia capace di riportare alla luce i resti della donna, non hanno fiutato al momento nulla di interessante. Impegnati nelle ricerche anche i vigili del fuoco attraverso alcuni mezzi meccanici, i carabinieri della Compagnia di Tropea e quelli del Reparto investigazioni scientifiche (Ris) di Messina. Le operazioni di ricerca sono riprese dopo l’invio di una lettera anonima all’avvocato Nicodemo Gentile, legale della famiglia Chindamo. Una lettera inviata da qualcuno che conosceva le abitudini di vita di Maria Chindamo e che sapeva che la mattina della scomparsa si sarebbe recata in contrada Montalto di Limbadi.

Non è la prima lettera anonima che viene spedita sul “caso Chindamo”, con l’indicazione di particolari che solo in pochi possono conoscere. La prima era stata infatti infilata nella cassetta delle lettere della parrocchia  “S. Marina Vergine” di Polistena e consegnata dal parroco don Pino De Masi, referente di “Libera” per la Piana di Gioia Tauro, e consegnata dal capitano dei carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro al pm della Procura di Vibo Valentia, Concettina Iannazzo, titolare del caso. Su un foglio bianco qualcuno ha fornito delle indicazioni precise che don Pino De Masi non ha esitato a definire come “super attendibili”. Due anni dopo, quindi, spunta una nuova lettera anonima che indirizza gli investigatori a scavare nelle campagne di contrada Montalto alla ricerca del corpo di Maria. In tale ultima lettera vengono anche spiegate, in parte, le ragioni del rapimento e della scomparsa, ovvero nel desiderio di vendetta da parte di qualcuno che non accettava il fatto che dopo il suicidio del marito – avvenuto un anno prima (2015) – Maria Chindamo aveva impresso una svolta alla sua vita occupandosi direttamente della gestione dei beni familiari. [Continua dopo la pubblicità]

Per alcuni aspetti, tale ultima missiva si lega alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia di Laureana Di Borrello, Giuseppe  Dimasi, coinvolto nell’operazione antimafia denominata “Lex” e ritenuto legato al clan Ferrentino di Laureana. Interrogato dal pm della Dda di Reggio Calabria, Giulia Pantano, il 2 agosto 2017 (i verbali sono stati depositati nell’ambito del procedimento “Lex”) ha infatti dichiarato: «Con riferimento alla scomparsa di Maria Chindamo, Marco Ferrentino diceva “secondo me gliel’hanno fatta pagare” e alludeva al fatto che la donna aveva avuto una relazione extraconiugale e il marito non accettando la separazione si era suicidato». Poche parole che però hanno aperto una pista ben precisa, quella della vendetta per una presunta relazione intrapresa da Maria Chindamo. 

Il suicidio del marito ed il messaggio su facebook. Gli inquirenti, del resto, non hanno mai trascurato l’inquietante coincidenza temporale fra la scomparsa di Maria ed il suicidio del marito Ferdinando Punturiero, avvenuto esattamente un anno prima, cioè il 6 maggio 2015. La relazione fra i due era finita da tempo e una settimana prima del rapimento, sulla sua pagina facebook personale Maria Chindamo aveva riportato una frase di Oriana Fallaci: “Il coraggio è fatto di paura…”. Che Maria temesse qualcosa o qualcuno è uno degli interrogativi principali che gli inquirenti si sono posti da tempo.

Il rapimento, il sangue e la telecamera manomessa. Di certo, gli investigatori hanno da subito escluso il coinvolgimento della ‘ndrangheta nel rapimento di Maria Chindamo e alcuni elementi portano a ritenere quasi certa la presenza di testimoni che hanno assistito all’aggressione ed al successivo sequestro della donna. Si indaga anche su un particolare di non poco conto: i sequestratori hanno manomesso l’unica telecamera della zona, quella che avrebbe potuto filmare la presenza e i movimenti di chi ha deciso di prelevare con la forza Maria Chindamo e portarla con sè per farla sparire. Sul luogo del rapimento, ovvero nei pressi del cancello della tenuta agricola della donna, gli investigatori hanno trovato diverse tracce di sangue di Maria Chindamo. Nulla trapela però sulla possibilità che alcune tracce di sangue, rinvenute sulla Dacia Duster di Maria, possano appartenere anche ad altre persone ovvero ai suoi sequestratori. Appare certo che la donna ha opposto resistenza prima di essere portata via.    In foto in alto Maria Chindamo, in basso il pm Concettina Iannazzo

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