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Comunali a Vibo, l’“harakiri” del Pd e i veti che hanno polverizzato il partito

Dagli 11 consiglieri espressi dal centrosinistra alle ultime amministrative si corre il rischio concreto di arrivare a zero. Censore stoppa la nascita di un’alleanza d’area e Lo Schiavo chiama in causa il nuovo segretario Zingaretti: «Avrà il coraggio di liberarsi dei vecchi retaggi?»

Comunali a Vibo, l’“harakiri” del Pd e i veti che hanno polverizzato il partito

Un partito sempre più ostaggio dei capicorrente. Incapace, a dispetto della propria tradizione democratica, di guardare al proprio interno ed assumere una posizione ufficiale anche di fronte ad un appuntamento politico di notevole importanza come le elezioni comunali di una città capoluogo. Il Pd vibonese si ritrova, a poco più di due mesi dal voto per il rinnovo del consiglio comunale di Vibo Valentia, ancora una volta, in mezzo al guado. Mentre centrodestra, Movimento cinquestelle e l’aggregazione civica che fa capo all’ex presidente del consiglio comunale Stefano Luciano, hanno da qualche tempo sciolto il nodo relativo al candidato sindaco e lavorano alla formazione delle liste, i democrat sono alle prese con distinguo, veti e discussioni interne che ne fiaccano lo spirito e ne indeboliscono l’immagine esterna, tanto che appare ormai verosimile la possibilità che il partito neppure prenda parte (quantomeno non in veste ufficiale) alla prossima competizione elettorale. Una crisi d’identità che a Vibo Valentia ha origini pregresse e ragioni profonde, che trovano la propria sintesi nell’evanescenza di una classe politica cittadina che non ha saputo costruire attorno a sé credibilità né consensi, facendo della città terra di conquista e non addirittura terra bruciata. Contraddizioni che, restando ai tempi più recenti, prendono il via dalle elezioni comunali del 2015, quando lo schieramento di centrosinistra, bocciato al primo turno, riuscì ad esprimere 11 rappresentanti in consiglio comunale. Quindi, a pochi mesi dal voto, la sfiducia all’allora capogruppo Antonio Lo Schiavo, lo strappo e la formazione di due diversi gruppi d’opposizione, preludio della progressiva fuoriuscita di altri consiglieri comunali già in quota Pd verso altri lidi. Ancora più recente la crisi che ha attraversato il partito in occasione del voto per le elezioni provinciali e la successiva epurazione dei consiglieri che hanno scelto di sostenere la cordata di centrodestra. Dulcis in fundo il corto circuito nell’avvio dell’attuale campagna elettorale, con le dimissioni del segretario del circolo cittadino, promotore delle larghe intese, e le uscite pubbliche della corrente maggioritaria a sostegno del candidato Luciano al pari di esponenti del Movimento nazionale per la sovranità. Disconoscendo di fatto quando auspicato da altri dirigenti e militanti che guardavano ad una possibile alleanza nell’alveo del centrosinistra. Così il partito è praticamente evaporato dal panorama politico cittadino, rinunciando a giocare quel ruolo di primo piano cui sarebbe deputato.

Del resto troppe sono state le incertezze anche da parte di rappresentanti istituzionali che non hanno mai preso una posizione chiara sulla questione e infruttuosi si sono dimostrati anche i tentativi messi in atto dal tavolo di coordinamento cittadino rappresentato da Pino Ceravolo. Chi invece ha avuto le idee chiare sul da farsi, come detto, è stata la corrente dell’ex deputato Bruno Censore, arrivato a porre un esplicito veto ad una potenziale ricandidatura di Lo Schiavo e abbandonando, implicitamente, ogni velleità di imbastire una proposta di centrosinistra a prescindere anche dalla figura del candidato sindaco. Un rifiuto, quello messo in chiaro dall’ex parlamentare, che prefigura la definitiva scomparsa del suo partito dalla prossima competizione elettorale e di conseguenza dal prossimo consiglio comunale della città capoluogo di provincia. Un vero e proprio tracollo rispetto agli 11 consiglieri eletti nell’ultima tornata. Per il diretto destinatario del veto censoriano si è di fronte ad una vera e propria «degenerazione del sistema elettivo amministrativo, che ha portato progressivamente al declino della funzione e del ruolo del consiglio comunale di Vibo. E i risultati si vedono. Queste affermazioni fatte da chi ha avuto un ruolo di primo piano nelle istituzioni – ha rimarcato Lo Schiavo -, fanno un certo senso. Anche perché questo modo di fare politica, basata su questo metodo di ricerca del consenso, è causa dell’arretratezza del nostro sistema politico istituzionale». Quindi quello che suona come un appello al neo segretario Nicola Zingaretti: «Il nuovo corso nazionale del Pd – domanda Lo Schiavo – avrà la forza di mettere in campo una nuova classe dirigente per la Calabria, liberandosi da questo retaggio politico e culturale?».

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