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Rinascita Scott: il potere dei Bonavota e la sete di sangue di Peppe Mancuso contro Razionale

Continua il controesame del collaboratore Bartolomeo Arena che si è soffermato pure sul tentato omicidio di Giuseppe Cirianni a Piscopio, sulle ingerenze dei clan nelle manifestazioni religiose e sugli affari delle cosche

Rinascita Scott: il potere dei Bonavota e la sete di sangue di Peppe Mancuso contro Razionale
Pasquale Bonavota

Controesame del collaboratore di giustizia, Bartolomeo Arena, da parte di alcuni difensori degli imputati nel corso del maxiprocesso Rinascita Scott. Rispondendo alle domande dell’avvocato Tiziana Barillaro, il collaboratore ha spiegato che Pasquale Bonavota – ritenuto a capo dell’omonimo clan di Sant’Onofrio – era dedito al business delle macchinette videopoker insieme alla famiglia Ursini di Gioiosa Ionica ed era dedito anche al traffico di droga. “In un’occasione – ha ricordato Arena – Pasquale Bonavota mi ha fatto avere della cocaina che ho ritirato al bar di suo fratello Nicola nei primi anni del duemila. Per quanto riguarda Nicola Bonavota sono stato anche al suo matrimonio, mentre non sono andato a quello di Pasquale Bonavota in quanto ha fatto una cosa più ristretta”. Secondo il collaboratore, la cosca Bonavota di Sant’Onofrio gode di un prestigio a livello nazionale ed è fra le più importanti all’interno della ‘ndrangheta. [Continua in basso]

“I Bonavota disponevano di diversi affiliati – ha sottolineato Arena – e fra questi Francesco Fortuna che veniva inviato dal clan a compiere omicidi anche a San Luca. I Bonavota erano interessati anche a portare le statue dei santi nel corso delle manifestazioni religiose perché per i criminali portare una statua significava manifestare potere sul territorio agli occhi dei paesani”. Bartolomeo Arena ha quindi ribadito di aver conosciuto Vincenzo Bonavota, patriarca del clan e padre di Pasquale, Domenico e Nicola, ed in un’occasione lo stesso Vincenzo Bonavota (tramite il figlio Nicola) avrebbe chiesto ad Arena di  pestare un ragazzo di Sant’Onofrio.

Luigi Mancuso

E’ toccato quindi all’avvocato Francesco Calabrese esplorare altri temi. Come il “Crimine di Cutro” – struttura di vertice della ‘ndrangheta alla quale sarebbe stato legato, ad avviso di Bartolomeo Arena, il gruppo Bartolotta di Stefanaconi – o la figura di Antonio Mancuso quale leader dell’omonimo clan al tempo della detenzione del fratello Luigi Mancuso. “Luigi Mancuso – ha riferito il collaboratore – era quello che contava di più a livello provinciale ed anche oltre. Il soggetto più vicino a lui quando è uscito dal carcere era Pasquale Gallone e so che a Limbadi ci sono pure donne nel clan Mancuso capaci di sparare”.
Rispondendo alle domande dell’avvocato Mario Murone, difensore di Saverio Razionale, il collaboratore è ritornato quindi sull’omicidio di Francesco Fortuna (alias “Ciccio Pomodoro”) ucciso a Pizzo nel 1988 mentre si trovava al soggiorno obbligato, e poi sul tentato omicidio (20 febbraio 1993) a Piscopio di Giuseppe Cirianni, in cui rimase ferita la figlia di quest’ultimo che all’epoca aveva solo un anno. Bartolomeo Arena ha svelato che a sparare sarebbe stato “Michele Carnovale, in seguito deceduto. Una circostanza che mi ha raccontato Antonio Grillo, detto Totò Mazzeo”. [Continua in basso]

Saverio Razionale

Ad attentare invece nel 1995 alla vita del boss di San Gregorio d’Ippona, Saverio Razionale, mentre si trovava a Briatico, sarebbe stato – secondo Bartolomeo Arena – Roberto Soriano di Filandari (poi scomparso per “lupara bianca”) ed anche “Nicola Greco, figlio di Italo Greco”, poi a sua volta ucciso a Briatico il 7 aprile del 1996. Mandante del fatto di sangue Giuseppe Mancuso, detto ‘Mbrogghja, che anche in precedenza avrebbe tentato di uccidere Saverio Razionale durante un pranzo puntandogli la pistola alla testa e venendo fermato da Rosario Fiarè.
In ordine invece al ristorante Mocambo di Pizzo, rispondendo ad una domanda dell’avvocato Gianni Puteri, Bartolomeo Arena ha affermato di aver saputo che “i veri proprietari del locale erano Saverio Razionale e Gregorio Gasparro”. Circostanza che il collaboratore ha affermato di aver appreso da Francesco Antonio Pardea in occasione del matrimonio di un fratello di quest’ultimo proprio in tale locale.

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