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Oltraggio a un magistrato in udienza, chiesto il processo per il boss Pantaleone Mancuso

La Procura di Salerno chiede il rinvio a giudizio per “Scarpuni” a seguito di quanto accaduto in Tribunale a Vibo il 16 ottobre del 2016. Parte offesa il pm Marisa Manzini

Oltraggio a un magistrato in udienza, chiesto il processo per il boss Pantaleone Mancuso

“Oltraggio a un magistrato in udienza”. Questo il reato (art. 343 del codice penale) per il quale il pm della Procura di Salerno, Vincenzo Senatore, ha chiesto al gup il rinvio a giudizio del boss Pantaleone Mancuso, 58 anni, detto “Scarpuni”, di Limbadi, residente a Nicotera Marina ma attualmente detenuto e condannato all’ergastolo nel processo “Gringia” quale mandante di alcuni fatti di sangue compiuti dal clan Patania di Stefanaconi nell’ambito della guerra di mafia contro i Piscopisani e il gruppo Bartolotta-Calafati, sempre di Stefanaconi. Il reato contestato a Pantaleone Mancuso è aggravato dalle modalità mafiose. Le indagini sono state svolte dalla Squadra Mobile di Vibo Valentia che aveva inviato un’informativa alla Procura di Salerno su quanto accaduto in udienza. Era il 16 ottobre del 2016 quando nel nuovo palazzo di giustizia di via Lacquari a Vibo Valentia, nel corso del processo “Black money”, Pantaleone Mancuso, collegato in videoconferenza dal carcere de L’Aquila, aveva chiesto ed ottenuto dal Collegio di rendere dichiarazioni spontanee dopo l’escussione del collaboratore di giustizia Andrea Mantella.  “Andrea Mantella è un caprone – aveva esordito Pantaleone Mancuso – , si accoppiava come le capre e da una relazione con una familiare è nata pure una bambina. Sono stati gli appartenenti a quello indicato come il gruppo di Bruno Emanuele, che io ho incontrato in carcere, a riferirmi della relazione fra Mantella e la cognata da cui è nata pure una bimba. Mantella è una feccia, un bugiardo ed il pm Manzini lo sa, è un imbroglione. Non l’ho mai conosciuto e dice solo frottole”. Imputato di associazione mafiosa nel processo “Black money”, Pantaleone Mancuso aveva preso la parola proprio subito dopo la conclusione del contro-esame di Andrea Mantella da parte delle difese e dell’esame da parte del pubblico ministero. Il pm Marisa Manzini, dinanzi alle invettive del boss, aveva tentato di bloccarlo opponendosi alle dichiarazioni, ma “Scarpuni” era andato avanti imperterrito, alzando la voce ed invitando il pm a “stare zitta”.  “Fai silenzio, stai zitta che devo parlare io” erano stati gli “inviti” di Pantaleone Mancuso al pubblico ministero, subito e prontamente richiamato dal presidente del Collegio, il giudice Vincenza Papagno. Solo alla fine delle sue dichiarazioni spontanee (previste dal codice per ogni imputato), Pantaleone Mancuso aveva pregato il Tribunale collegiale di Vibo Valentia di volerlo scusare per essersi lasciato andare in quanto molto “arrabbiato”. Prima, il boss era però andato avanti con toni piuttosto accesi e duri. “Andrea Mantella – aveva dichiarato Pantaleone Mancuso – non godeva di rispetto neppure nella sua famiglia. Non ho colpe io per la morte di mia moglie Tita Buccafusca. Il pubblico ministero si diverte e gode di questa mia disgrazia e del suicidio di mia moglie”. Quindi il boss aveva continuato a dare la colpa del suicidio della moglie agli inquirenti. “Io ho fatto di tutto perchè mia moglie vivesse e lei non ha mai ricevuto soldi da nessuno. E’ ora che gli inquirenti la smettano e si mettano l’anima in pace perchè mia moglie non ha rilasciato dichiarazioni a nessuno”. Poi gli strali pure contro la cognata Ewelina Pytlrz, la donna polacca moglie di suo fratello Domenico e divenuta pure lei una testimone di giustizia. “La Pytlrz non la potevo vedere – aveva affermato duramente Pantaleone Mancuso – e non è mai stata a casa mia. E’ una poveraccia. Mia moglie non aveva alcuna pescheria ma una stalla insieme a me che la Manzini mi ha pure sequestrato”. L’udienza preliminare dinanzi al gup di Salerno per valutare la sussistenza dell’ipotesi di reato di “oltraggio a magistrato in udienza” è stata fissata per il 21 febbraio prossimo. L’articolo 343 del codice penale recita: “Chiunque offende l’onore o il prestigio di un magistrato in udienza è punito con la reclusione sino a tre anni”.  Al termine del processo “Black money”, Pantaleone Mancuso è stato assolto dal reato di associazione mafiosa dal Tribunale di Vibo Valentia. Un Collegio giovane (composto dai magistrati Vincenza Papagno, Pia Sordetti e Giovanna Taricco) ma attento, professionale, scrupoloso ed autorevole, come aveva riconosciuto lo stesso pubblico ministero a Il Vibonese.it ed ai microfoni di LaC news24 proprio al termine della lettura della sentenza nell’aula del vecchio Tribunale di corso Umberto a Vibo. Il pm Marisa Manzini aveva chiesto per Pantaleone Mancuso 26 anni e 6 mesi di reclusione. Il 4 aprile prossimo è fissato l’appello di “Black money” a Catanzaro.   LEGGI ANCHE: VIDEO | “Black Money”, il commento del pm Manzini: «Processo lungo e tormentato, Collegio professionale»

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