Cambio nome per Vibo Marina, “Città futura”: «Serve un referendum»
I consiglieri del gruppo di maggioranza spiegano perché hanno espresso voto contrario alla proposta di ripristino dell’antica denominazione: «Dietro al nostro No non ci sono ragioni politiche»
Tra i voti contrari alla proposta di cambiare il nome della frazione di Vibo Marina in Porto Santa Venere, discussa in seno alla II Commissione (Urbanistica), vi sono anche quelli dei consiglieri del gruppo “Città Futura”. Gruppo che fa riferimento al consigliere regionale Vito Pitaro, la cui candidatura in vista delle prossime elezioni del 3 e 4 ottobre è saltata. Ragion per cui, dietro il voto contrario del gruppo, facente parte della maggioranza, era stato intravisto un messaggio politico. Circostanza che ora viene fermamente negata dagli stessi consiglieri di “Città futura”.
«Le ragioni di tale contrarietà non hanno assolutamente natura politica né, tantomeno, presupposti di merito, in quanto non è da escludere che il cambio di denominazione in questione possa anche rappresentare un rafforzativo atto ad accrescere l’attrattiva turistica della frazione marina», precisano, arrivando a spiegare poi il motivo che li ha spinti a votare No al cambio nome: «Su una tematica così importante, che va ad intaccare l’identità territoriale di ogni cittadino, non può non essere raccolto preventivamente il consenso della popolazione interessata». [Continua in basso]
«Crediamo, infatti, che nessun consigliere o amministratore – spiegano – possa arrogarsi il diritto di imporre un cambio di denominazione così netto e drastico. A tal uopo, si rammenta come la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi più volte sul tema, ha sancito per i comuni appartenenti alle Regioni a statuto ordinario la necessità di esperire un Referendum popolare per poter procedere ai cambi di denominazione».
Tali motivazioni sono state espresse dal gruppo consiliare Città Futura non solo nell’ultima seduta della II Commissione ma anche in quelle tenutesi nei mesi precedenti, chiedendo anche un «rinvio della votazione proprio per poter raccogliere la volontà popolare, magari in via preventiva attraverso i canali informatici o le pagine social dell’ente. Non accolta la richiesta di rinvio del voto, la Commissione procedeva alla regolare votazione determinando la nostra contrarietà».