sabato,Novembre 30 2024

C’era una volta la “miniera di Briatico”

Un viaggio tra mulini, cascate e un'antica miniera. Il racconto di un'avventurosa escursione nella valle dello Spataro.

C’era una volta la “miniera di Briatico”

C’erano una volta una miniera, una piccola cascata, un laghetto, e tanti mulini. E’ la valle del fiume Spataro, un piccolo corso d’acqua, che ha costituito un momento importante per l’economia e la cultura di piccoli comuni come Sciconi e Conidoni. Lo Spataro, ha rappresentato per tanto tempo un punto di riferimento per la popolazione del luogo. Tra le tante attività c’era quella delle lavandaie, che passavano le giornate a lavare i panni mentre raccontavano i fatti del paese.

Lungo la valle dello Spataro, vi era, inoltre, una miniera di lignite, riportata in molti documenti come “Miniera di Briatico”. Qui vi lavoravano indistintamente uomini e donne e il carbone estratto, serviva probabilmente per le prime ferrovie.

La suggestione di questi posti, oramai in disuso, è raccontata da Mirko Nicolini. «Cerchiamo sempre la suggestione e la magia lontano da noi, magari dopo aver ammirato qualche posto esotico in un documentario o in una pellicola hollywoodiana, ma non riusciamo a carpire la ricchezza di quello che abbiamo attorno, a pochi passi dal nostro uscio di casa. È la sensazione che ho provato partendo con tre amici per una brevissima escursione “alla miniera” di Sciconi e Conidoni dalla quale si estraeva il carbon fossile “lignite”. Nei documenti storici si fa riferimento alla “Miniera di Briatico”, aperta dai Borboni nel 1800 e che ha subito chiusure e riaperture nel corso del 1900, tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Per accedervi, bisogna attraversare i terreni ormai incolti degli abitanti del luogo, visto che la vecchia “servitù”, che ne consentiva l’accesso diretto, è crollata per le copiose precipitazioni avvenute nel corso degli anni».

La miniera si trova lungo la valle del fiume Spataro e vi si arriva attraverso sentieri stretti di terra friabile. Chiaro che per percorrerli serva quantomeno un supporto e la massima attenzione. Scendendo, lungo le pareti della vallata si possono ammirare quei fossili che i “saggi” del posto chiamano “i medusi” e che fino a qualche anno fa venivano utilizzati prevalentemente come “ferma carte” o “ferma porte”. Lo spettacolo più bello è rappresentato dai “Pecten Iacopeus”, stupende conchiglie giganti che affiorano dalle pareti di tanto in tanto. L’abbandono delle terre da parte dell’uomo ha aperto spazi invitanti per i cinghiali, le cui impronte costeggiano lo Spataro e fanno alzare la tensione quando ci si avvicina ai tunnel della miniera.

Nei pressi della piccola cascata, si apre un piccolo laghetto presso il quale, raccontano sempre i saggi del paese, durante le guerre si lavavano i panni mentre i più piccoli ne approfittavano per fare un bagno. Il mare è vicino, ma le ristrettezze del tempo non consentivano sempre escursioni verso Briatico. Le sterpaglie intorno hanno praticamente coperto tutto. Lungo il fiume c’è traccia di vecchi lavatoi realizzati in blocchetti di cemento, mentre dei tanti mulini che lo costeggiavano, ormai non v’è quasi più traccia. Di tanto in tanto fa capolino qualche rientranza: sono le cosiddette “grutti da guerra”, dove ci si rifugiava appunto in tempo di guerra.

«La nostra avventura  – prosegue Mirko Nicolini – aveva lo scopo principale di “entrare nella miniera” e anche se per pochi secondi, ci siamo riusciti. Una galleria ben visibile a pochi metri dal letto del fiume, ci invita ad entrare ma appena all’ingresso si nota chiaramente che all’interno si possono percorrere al massimo 15-20 metri a causa dei crolli che hanno probabilmente per sempre secretato i “tesori” della miniera. Oramai dentro non è rimasto che qualche rete per la raccolta delle olive, bombole di gas dismesse e qualche bidone di plastica abbandonato da chissà chi. Spostandoci dall’ingresso della galleria verso il fiume c’è il ponticello di ferro ormai fagocitato da spine e vegetazione di ogni tipo: non si tratta altro che di piccole rotaie per l’attraversamento dei carrelli di lignite, che quando eravamo ragazzini era teatro di sfide (“Chi attraversa di corsa il binario senza cadere nel fiume?”). Inerpicandosi per la collinetta che fronteggia Conidoni e Sciconi, lo spettacolo è mozzafiato: la parete evidenzia chiaramente i segni dell’emersione millenaria, ma soprattutto mostra aperture di altre gallerie che danno nel vuoto ad un’altezza considerevole. Da quei tunnel, ormai irraggiungibili, si attraversa praticamente il sottosuolo delle due frazioni di Briatico, fino ad arrivare alla vallata opposta, quella dalla quale ci si trova di fronte Pannaconi».

Più volte si sono presentati alla “miniera di Briatico” ricercatori di diverse università italiane, l’ultima quella di Firenze, a conferma che i documenti storici danno un’importanza rilevante ai posti che gli stessi abitanti del luogo ormai ignorano da decenni. La miniera è stata una risorsa inestimabile per il luogo, ma anche a livello nazionale: basti pensare che in seguito alle sanzioni comminate all’Italia durante il ventennio fascista, non potendo reperire carbone di importazione, vi fu un rinnovato interesse per la lignite di Sciconi e Conidoni. Un’attività di rilevanza nazionale bagnata dal sudore di donne e uomini briaticesi. Una storia che merita di essere valorizzata. Posti che uniscono suggestione, magia e bellezza. È la nostra storia, basta e avanza…

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