Prescrizione e riforma del processo penale rischiano di mandare in fumo migliaia di processi
Si stabilisce infatti la morte del processo che dura più di due anni in appello e uno in Cassazione, ma nulla si prevede per rendere i dibattimenti più veloci. Le critiche di Gratteri e l’apparente “apertura” di Draghi
Continua a far discutere la riforma della giustizia voluta dal Governo e dal ministro Marta Cartabia. Sulla “nuova prescrizione” o istituto della “improcedibilità” da giorni giornalisti e addetti ai lavori non risparmiano le proprie critiche. L’istituto prevede infatti la morte del processo che dura più di due anni in Appello (tre solo per i reati più gravi) e uno in Cassazione (o 18 mesi).
Il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, nel suo intervento in video conferenza in commissione Giustizia sull’improcedibilità ha dichiarato: «Fissare una tagliola con un termine così ristretto vuol dire non assicurare che tutto venga adeguatamente analizzato con la dovuta attenzione, aumento smisurato di appelli e ricorsi in Cassazione perché se prima qualcuno non presentava impugnazioni con questa riforma a tutti, nessuno escluso, conviene presentare appello e poi ricorso in Cassazione non fosse altro per dare più lavoro, ingolfare di più la macchina della giustizia e giungere alla improcedibilità”. [Continua in basso]
È una riforma che non serve alla sicurezza dei cittadini italiani, non serve a dare giustizia alle parti offese, a coloro i quali hanno subìto vessazioni da parte di mafiosi o criminalità comune. Una riforma che è una tagliola. Premia tutti quelli che sono imputati in un processo”. Immediate le repliche della Cartabia, in particolare sulla questione dei procedimenti per mafia: “Spesso, in questi giorni si è detto che i procedimenti di mafia e terrorismo andranno in fumo. Non è così, perché i procedimenti che sono puniti con l’ergastolo, e spesso lo sono quelli per mafia, non sono soggetti ai termini dell’improcedibilità. E per i reati più gravi si prevede, in ogni caso, una possibilità di proroga». Traduzione: il ministro della Giustizia Cartabia ignora che una cosa sono i procedimenti per associazione mafiosa (art. 416 bis del codice penale), altra cosa gli omicidi (anche di mafia) puniti con l’ergastolo e dimentica che la mafia non è solo omicidi ma anche reati quali: estorsione, rapina, tentato omicidio, danneggiamento, usura, furto, incendio doloso, detenzione illegale di armi e traffico di stupefacenti. Ne consegue che anche questi reati potrebbero diventare “improcedibili” e quindi andare in fumo se passasse la sua riforma.
L’Unione Europea, del resto – contrariamente a quanto strumentalmente sbandierato da parte dell’avvocatura e da parte della stampa – ha chiesto in realtà all’Italia solo una giustizia più semplice, rapida ed efficiente con meno prescrizioni e meno impugnazioni. Le critiche alla Riforma del processo penale sono state accolte dal presidente del Consiglio e dalla ministra della Giustizia, che hanno ammesso come in effetti la riforma possa essere migliorata. Un’attenzione particolare merita senza dubbio l’istituto dell’improcedibilità, che fa morire i processi e che il premier ha definito come un punto «da prendere in considerazione». Resta la domanda di fondo: i processi in Italia sono lenti perché i magistrati lavorano poco o perché (vagabondi a parte che esistono in ogni categoria professionale) si trovano a dover smaltire in alcune sedi un arretrato pazzesco per via delle croniche carenze di giudici? Carenze a cui la politica (ad iniziare dal Ministero della Giustizia per finire al Csm) non hanno mai messo mano seriamente? Chi è entrato in qualunque palazzo di giustizia italiano conosce la risposta, il resto sono chiacchiere da bar buone per politici e “giuristi” di ogni età.
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