L’omicidio Covato e le dinamiche criminali fra Portosalvo, Cessaniti e Zungri
Il ruolo di Nicola Tripodi e Nazzareno Colace, la faida fra Pannaconi, San Marco e Favelloni, l’ingerenza degli Accorinti e il “disturbo” dei fratelli Covato
Riporta alle dinamiche criminali sviluppatesi oltre trent’anni fa in una precisa area geografica del Vibonese, l’operazione antimafia che ieri ha portato in carcere Nazzareno Colace, 57 anni, di Portosalvo, ritenuto l’autore della soppressione (“lupara bianca”) di Franco Colace, il 21enne residente nella contrada San Nicolò di Briatico (zona confinante con Portosalvo) fatto sparire nel nulla fra il 23 ed il 24 gennaio 1990. La vittima, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbe calpestato gli equilibri mafiosi all’epoca vigenti nella zona, compiendo furti di auto non autorizzati ed arrivando persino a ferire in un agguato Nazzareno Colace che già all’epoca veniva ritenuto un personaggio di spicco del clan Tripodi di Portosalvo per poi divenire nei primi anni del 2000 uno dei «fedelissimi» del boss di Nicotera Marina, Pantaleone Mancuso alias Scarpuni. Secondo il collaboratore di giustizia Carlo Vavalà – affiliato al clan Candela di Favelloni di Cessaniti e condannato per il sequestro del dentista Giancarlo Conocchiella – il corpo di Franco Trovato sarebbe stato trasformato in «fumeri i nucara», cioè concime posto sotto alberi di noci. Ad avviso del collaboratore di giustizia, Bartolomeo Arena, sarebbe stato invece suo nonno materno Vincenzo Pugliese Carchedi di Vibo Valentia a dare il permesso a metà anni ’80 a Nicola Tripodi di aprire un nuovo “locale” di ‘ndrangheta nella frazione Portosalvo. [Continua in basso]
Il contesto mafioso negli anni ’80 e ’90 a Portosalvo
Ma come e perché il corpo di Franco Covato – stando alle risultanze investigative ed alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – sarebbe stato portato e sepolto in contrada Campia di Zungri sotto un noceto? Chi “controllava” in termini mafiosi la zona all’epoca? Per capire le dinamiche criminali vigenti nell’area in questione, e i relativi equilibri mafiosi, occorre fare molti passi indietro e tenere in considerazione che in un dato lasso temporale un’intera fascia di territorio ricompresa fra Portosalvo e Cessaniti è ricaduta (stando a sentenze ormai definitive) sotto il controllo mafioso di Nicola Tripodi, il boss di Portosalvo promotore e fondatore insieme ai fratelli dell’omonimo clan.
Aveva solo 18 anni Nicola Tripodi quando il 24 febbraio 1966 per gelosia «uccideva a coltellate il suo amico Licciardi Nicola», venendo per questo condannato a 9 anni. Scontata la pena, Nicola Tripodi anziché «reinserirsi nella società civile», secondo quanto accertato nell’operazione Lybra, avrebbe «perseverato a delinquere, rinsaldando i legami con la criminalità organizzata e creando intorno alla sua persona un alone di paura», tanto che il 7 luglio 1975 a farne le spese è stato persino Orlando Tripodi, il padre di Nicola, accoltellato dal figlio. Per tale episodio, Nicola Tripodi è stato «deferito alla locale Procura». Diffidato di pubblica sicurezza sin dal gennaio 1976, Nicola Tripodi è stato poi al centro di altri due episodi eclatanti: l’omicidio a colpi di lupara di un operaio nel piazzale del “Nuovo Pignone” il 28 settembre 1978 – fatto per il quale è stato comunque assolto – e l’esplosione di colpi di pistola il 18 gennaio 1980 a Vibo Marina contro un presunto rivale in amore. [Continua in basso]
Da Portosalvo a Cessaniti
Per capire le ingerenze di Nicola Tripodi nelle dinamiche criminali dell’intera zona, da Portosalvo sino a Cessaniti, occorre tuttavia partire dalla faida fra i Sorrentino di San Marco di Cessaniti e i Candela-Pititto di Favelloni, con l’omicidio, il 30 maggio 1984, di Michele Candela, all’epoca di 36 anni, per il quale vennnero arrestati Domenico Sorrentino, detto “l’Eremita”, Alberto Sorrentino, detto “Ringu”, e Pasquale Sorrentino. Nella zona, stando alle risultanze investigative di diverse inchieste, comandava la storica “famiglia” Bonavena di Pannaconi, i cui leader – Francesco e Domenico – erano stati arrestati nel giugno 1984, e poi condannati per mafia, nel primo maxi-processo contro i Mancuso. Francesco Bonavena, 86 anni, è attualmente imputato anche nel maxiprocesso Rinascita-Scott. Per spodestare i Bonavena, indeboliti dalle vicende giudiziarie di metà anni ‘80, Nicola e Filippo Candela avrebbero cercato di legarsi attraverso un matrimonio agli Accorinti di Zungri, all’epoca usciti vincitori da una faida con il contrapposto clan dei Niglia, sempre di Zungri. In sostanza, un Accorinti avrebbe dovuto sposare una sorella di Filippo Candela, il quale a sua volta avrebbe dovuto sposare una sorella degli Accorinti. La sorella di Candela si sarebbe però rifiutata di sposare un Accorinti e da qui lo scontro, culminato prima con pestaggio subìto da un Accorinti ad opera dei Candela e poi con l’omicidio di Filippo Candela, avvenuto a Zungri il 18 febbraio 1987. Indeboliti i Bonavena, emersi i Candela ma non ancora forti e consolidati, i Mancuso avrebbero così affidato su finire degli anni ’80 la reggenza del “locale” di Cessaniti a Nicola Tripodi che già era a capo del “locale” di Portosalvo.
I Covato e il disturbo ai boss della zona
E’ in tale contesto di assetti criminali che va inserita l’eliminazione di Franco Covato il 23 gennaio 1990. Insieme ai fratelli – nonostante la presunta appartenenza di un congiunto al clan Mancuso – si sarebbe dimostrato “ingestibile”, arrivando a sfidare apertamente, sino a ferirlo in un agguato, Nazzareno Colace, personaggio di spicco all’epoca del clan Tripodi e indicato quale grosso trafficante di armi in contatti con il lametino. Da qui la decisione di eliminare Franco Covato e buttarne i resti – stando alle rivelazioni dei collaboratori – nelle campagne di contrada Campia, zona già all’epoca sotto il controllo di Giuseppe Accorinti, fedele alleato di Nicola Tripodi. Secondo i pentiti Michele Iannello e Carlo Vavalà, l’omicidio di Francesco Covato sarebbe stato autorizzato proprio da Nicola Tripodi ed eseguito da Nazzareno Colace, ma allo stato Nicola Tripodi per tale fatto di sangue non risulta indagato.
Nello stesso giorno, ma cinque anni dopo, il 23 gennaio 1995, è sparito all’età di 20 anni anche Massimiliano Covato. La sua auto è stata ritrovata abbandonata nel piazzale della stazione ferroviaria di Vibo-Pizzo con le chiavi ancora inserite. [Continua in basso]
I “ribelli” di Portosalvo e Cessaniti
Porta la data del 26 maggio 1997, invece, la ripresa della vecchia faida di Cessaniti, con il ferimento di Alberto Sorrentino. Pochi mesi dopo, quindi, le armi tornavano a farsi sentire a Portosalvo: il 18 luglio 1997 per l’esattezza, quando una violenta sparatoria vedeva contrapposti in via Roma, Giuseppe Covato, fratello degli scomparsi Massimiliano e Francesco, ed i fratelli Vincenzo e Giacomo Colace, soggetti ritenuti anche loro (come Nazzareno Colace) vicini ai Tripodi e condannati per tale fatto in via definitiva per il reato di tentato omicidio.
Il 19 febbraio 2004 veniva poi ucciso a Cessaniti Domenico Sorrentino. Per tale ultimo fatto di sangue, scaturito per vendicare l’eliminazione di Michele Candela avvenuta nel 1984, sono stati condannati i due cugini omonimi Francesco Candela, uno cl. ’73 e l’altro cl. ’76. A tentare di eliminare Domenico Sorrentino ci avrebbe però provato, anni prima, pure Nicola Candela (cl.’70), altro nipote di Michele Candela, ed i suoi propositi di vendetta avrebbero provocato lo schieramento di diversi “personaggi”. Da un lato, Saverio Razionale di San Gregorio d’Ippona avrebbe spalleggiato Sorrentino, dall’altro lato Nicola Tripodi, Giuseppe Accorinti di Zungri e Raffaele Fiamingo di Rombiolo (il “Vichingo” del Poro ucciso a Spilinga il 9 luglio 2003) avrebbero cercato di placare gli animi di Nicola Candela (coinvolto anche nel sequestro del dentista Giancarlo Conocchiella). Da ricordare che il 27 giugno 1992 Nicola Candela è sparto per lupara bianca. Il mese prima – 10 maggio 1992 – in località “S. Andrea” di Zungri è stato invece rinvenuto, in un’auto data alle fiamme, il cadavere di Filippo Vita, attinto da diversi colpi d’arma da fuoco al cranio. Quest’ultimo era il fratello maggiore di Salvatore Vita, il presunto “dominus” dei lavori pubblici a Vibo Marina secondo l’operazione “Lybra”. Filippo Vita, per gli inquirenti, sarebbe stato vicino sia alla “famiglia” Barbieri di Cessaniti (la stessa ora imputata in Rinascita Scott) che a Nicola Candela. Le faide di Cessaniti e Portosalvo erano così terminate.
Intanto oggi Nazzareno Colace – assistito dagli avvocati Francesco Sabatino e Francesco Gambardella – è comparso dinanzi al gip distrettuale di Catanzaro, Gabriella Logozzo, per l’interrogatorio di garanzia e si è avvalso della facoltà di non rispondere in relazione all’accusa di aver organizzato l’omicidio di Franco Trovato. I legali avranno ora dieci giorni di tempo per presentare ricorso al Tribunale del Riesame.
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