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Incompatibilità ambientale a Vibo: il Csm trasferisce d’ufficio il giudice Lucia Monaco

La presidente della sezione penale del Tribunale di Vibo destinata a Reggio Calabria. Ritenuta incompatibile con ogni funzione giudiziaria nel circondario vibonese

Incompatibilità ambientale a Vibo: il Csm trasferisce d’ufficio il giudice Lucia Monaco

Consiglio Superiore della Magistratura ha deliberato il trasferimento della dott.ssa Lucia Monica Monaco alla Corte di Appello di Reggio Calabria con le funzioni di consigliere. E’ stato così preso atto della delibera dell’assemblea plenaria con la quale il 18 luglio scorso il Csm (organo di autogoverno della magistratura) ha disposto il trasferimento d’ufficio della presidente della sezione penale del Tribunale di Vibo Valentia, ai sensi dell’art. 2 regio decreto n. 511 del 31 maggio 1946, ovvero per incompatibilità con ogni funzione giudiziaria nel circondario vibonese. La dott.ssa Monaco – invitata ad indicare un elenco di sedi giudicanti di primo e secondo grado, vacanti e non pubblicate, con esclusione delle sedi del circondario di Vibo Valentia – con note datate 27 luglio e 30 agosto scorso ha comunicato un elenco di sedi. “Tenuto conto dei gradimenti espressi dall’interessata – si legge nella delibera del Csm – la quale ha richiesto formalmente il trasferimento di ufficio, in ordine di preferenza, alla Procura della Repubblica di Roma con funzioni di sostituto procuratore, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria con funzioni di consigliere, al Tribunale di Catanzaro con funzioni di giudice ed alla Procura di Messina con funzioni di sostituto procuratore, considerato che in data 3 settembre 2018 la Terza Commissione, preso atto che il punteggio del concorso virtuale attribuibile alla dott.ssa Monaco avrebbe consentito l’assegnazione del posto di consigliere della Corte di Appello di Reggio Calabria” ha disposto la pubblicazione sul sito intranet della sede richiesta. Non essendo pervenute domande di altri aspiranti alla partecipazione, tramite concorso virtuale, all’assegnazione del posto, il giudice Lucia Monaco è stata trasferita d’ufficio alla Corte d’Appello di Reggio Calabria. Era stata la prima Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura nel febbraio scorso – quella chiamata a decidere sulle incompatibilità dei giudici – a scendere sino a Vibo per una due giorni di audizioni nel palazzo di giustizia.
All’esame dei commissari dell’organo di autogoverno dei magistrati e poi dell’intero Consiglio non solo i contrasti fra magistrati all’interno del Tribunale, ma anche ben altre situazioni fra le quali l’assegnazione di processi da parte del giudice Lucia Monaco in date non comunicate al presidente del Tribunale Alberto Filardo ed una vicenda che ha visto coinvolto, imputato e poi condannato il 5 luglio scorso (8 mesi con pena sospesa da parte del gup di Vibo al termine del rito abbreviato) il figlio del giudice Monaco per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti (marijuana). Una situazione complessiva quindi (e non solo semplici contrasti fra magistrati), che ha richiesto l’intervento dei componenti della prima commissione del Csm che hanno esaminato rapporti, esposti, ricorsi e doglianze. Alla fine, la decisione del Csm: la dott.ssa Lucia Monica Monaco, presidente di sezione del Tribunale di Vibo Valentia, è incompatibile “con ogni funzione giudiziaria nel circondario di Vibo Valentia”.
Entrata in magistratura il 28 luglio 1998, ha svolto nel Tribunale di Vibo anche le funzioni di gip/gup e quelle di giudice a latere del Tribunale Collegiale. Poi un periodo a Catanzaro in Corte d’Appello, il ritorno a Vibo e qualche tempo dopo il nuovo incarico di presidente della sezione penale. In tale ultima veste, al suo nome sono legate le pesanti condanne (sentenza del 20 gennaio 2015) nel processo “Luce nei boschi” alla ‘ndrangheta delle Preserre vibonesi (167 anni di carcere per 14 imputati), ma anche le assoluzioni per tutti gli imputati (otto in totale, il nono nel frattempo deceduto perchè morto ammazzato) del processo nato dall’operazione “Impeto” contro il clan Mancuso (sentenza del 24 dicembre 2015) a fronte di richieste di condanna per complessivi 87 anni di reclusione avanzate dal pm Camillo Falvo. Verdetti che hanno retto nei successivi gradi di giudizio.

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