ESCLUSIVO/ ‘Ndrangheta: l’omicidio Di Leo e tutti i retroscena inediti svelati dal pentito Costantino
Francesco Costantino di Maierato svela i legami fra i Bonavota, “Micu Catalanu”, gli Arone ed i De Fina, da Sant'Onofrio sino al Piemonte
Permettono di rafforzare anche l’impianto accusatorio nei confronti degli imputati dell’omicidio di Domenico Di Leo, alias “Micu Catalanu”, ucciso a Sant’Onofrio in via Tre Croci il 12 luglio 2014, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Costantino di Maierato. Dichiarazioni che coincidono con gli autonomi risultati investigativi, già raggiunti dagli inquirenti, e con le dichiarazioni già rese sul punto dal pentito Andrea Mantella. Per l’omicidio di Domenico Di Leo, la Dda di Catanzaro – nel processo nato dall’operazione “Conquista” – ha già chiesto l’ergastolo nei confronti dei fratelli Pasquale, Domenico e Nicola Bonavota, e per Onofrio Barbieri, tutti di Sant’Onofrio. “Uno dei mandanti dell’omicidio Di Leo – spiega il collaboratore Costantino –, così come per Raffaele Cracolici, è da identificarsi in Pasquale Bonavota. So anche che a compiere materialmente l’agguato era stato Mantella Andrea. Ho appreso da Antonino De Fina che il soggetto che ha voluto l’omicidio di Domenico Di Leo era stato Bonavota Pasqualino, per ragioni di interessi economici. Bonavota Pasquale e Mimmo Di Leo erano infatti molto amici ed avevano pianificato l’apertura di un distributore di carburante a Sant’Onofrio. Tuttavia – aggiunge il pentito – Di Leo aveva avuto un comportamento non ritenuto idoneo da parte di Bonavota ed inoltre Di Leo si stava allontanando dai Bonavota ai quali era affiliato con ruoli esecutivi, era un uomo d’azione. L’ho conosciuto quando viveva a Nichelino, in Piemonte, ed era molto amico di mio fratello, oltre che di Nino De Fina. Domenico Di Leo, detto Micu Catalano, frequentava un bar a Moncalieri di proprietà di tale Serratore, organico alla famiglia dei Bonavota, dove ho avuto modo di conoscere pure Pasquale Bonavota. Con Di Leo ho trattato anche la cessione di sostanze stupefacenti. Dopo la morte nel 2002 di Alfredo Cracolici, ricordo – aggiunge il collaboratore – che Di Leo doveva recarsi in Calabria per aprire un’attività commerciale nella costruenda area industriale di Maierato. Tale circostanza l’ho appresa anche da Raffaele Cracolici. So che per questo motivo Di Leo doveva scendere a parlare con i Bonavota in Calabria perché erano sorti dei dissapori con Pasquale Bonavota. Questo l’ho saputo direttamente da Di Leo dopo la morte di Alfredo Cracolici. A Volpiano, così come anche in Calabria, Domenico Di Leo frequentava altresì il cognato ed anche questi era un uomo di azione dei Bonavota”. E’ a questo punto che il collaboratore, Francesco Costantino, spiega i rapporti interni al clan Bonavota ed i motivi alla base dell’omicidio di Domenico Di Leo. “I rapporti tra i Bonavota e Domenico Di Leo erano stati sempre buoni, poi successivamente intervennero degli screzi fra il Di Leo e Bonavota Pasquale per l’apertura di un’attività commerciale nella zona della piana di Maierato. So che i Bonavota temevano particolarmente Di Leo quale soggetto che, se necessario, poteva anche arrivare a sparargli. Questo me lo dicevano sia mio fratello che De Fina. Ho saputo della morte di Di Leo nell’anno 2004 da mio fratello che mi riferì che Domenico era stato ucciso mentre si trovava giù in Calabria, precisando che forse non era stato capace di risolvere i problemi che aveva avuto con i Bonavota. Anche De Fina, negli anni 2005-2006 successivamente alla morte di mio fratello avvenuta nel gennaio 2006, mi disse che la morte di Di Leo era dovuta ai Bonavota e nello specifico che i mandanti erano da identificarsi in Mimmo e Pasquale Bonavota che temevano una reazione di Di Leo”. Francesco Costantino svela anche ulteriori particolari sin qui inediti: “ De Fina mi disse che la notizia della riconducibilità della morte di Di Leo ai Bonavota l’aveva appresa direttamente a Sant’Onofrio dove partecipò ai funerali di Di Leo, ed anche da parte di tale Pizzonia. Di queste cose ne era a conoscenza anche un compare di De Fina, soggetto originario di Ciminà che si chiama Pietro. Successivamente ho saputo che De Fina ha avuto nella sua disponibilità delle carte processuali dove si parlava dell’agguato ai danni di Di Leo ed aveva timore che anche lui venisse coinvolto nella vicenda unitamente a Pizzonia. I discorsi da me fatti – ricorda il pentito – sull’argomento dell’omicidio Di Leo con De Fina, Pizzonia e mio fratello erano comunque avvenuti prima, nel primo semestre 2006, quando ancora non si sapeva di questa inchiesta. Anche in questo caso non si trattava di ragionamenti, ma di vere e proprie notizie che in questi termini circolavano negli ambienti criminali qualificati. Al di là delle problematiche che si erano verificate su Maierato, l’aspetto scatenante che aveva determinato l’omicidio Di Leo era la paura che Pasquale Bonavota nutriva nei confronti di Di Leo, soggetto che il Bonavota conosceva bene e che sapeva capace di qualunque azione, senza timori nei loro confronti”. Infine, per quanto attiene al “capitolo” della struttura del clan Bonavota, Francesco Costantino rivela al pm della Dda, Antonio De Bernardo, che “De Fina Nino negli anni 2003-2005 aveva una ditta edile che si occupava di ristrutturazioni, nonché degli autosaloni nel torinese che gestiva unitamente a tal Pugliese Francesco. Questi rendeva conto al fratello di Arone Salvatore e attraverso quest’ultimo, indirettamente ai Bonavota. Altro soggetto che gestiva gli autosaloni insieme a De Fina era tale Pizzonia, un soggetto pure lui proveniente da Sant’Onofrio. So per certo – conclude Costantino – che all’epoca De Fina non andava tanto d’accordo con i Bonavota e per tale motivo si trasferì a Torino ove era molto inserito nel contesto criminale torinese e conosceva bene, ad esempio, Ilario D’Agostino. De Fina, comunque, conosceva benissimo e dall’interno le dinamiche criminali dei Bonavota”. (2/continua) In foto in alto da sinistra verso destra: Domenico Di Leo e Pasquale Bonavota
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