Comune di Vibo, precari da anni e “derubati” della propria dignità
Accorata lettera dei 24 tirocinanti che prestano servizio presso gli uffici di Palazzo Razza. Contratti di lavoro nuovamente in scadenza e tanta paura per il futuro. Unica la richiesta: stabilizzazione
Sono ventiquattro persone, ma in gergo tecnico vengono freddamente definite «unità lavorative». Prestano servizio presso il Comune di Vibo Valentia, ma fanno parte dei cosiddetti tirocinanti della Regione Calabria, un limbo indefinito che comprende quasi 7mila precari divisi nei vari enti locali calabresi, i quali proprio in questi ultimi giorni hanno dato vita (un po’ in tutta la Calabria) a una serie di proteste per chiedere a gran voce la loro definitiva stabilizzazione: i contratti di lavoro precario sono infatti in scadenza. E il loro rinnovo sembra solo allungare una lenta e sfibrante agonia. [Continua in basso]
Da qui la decisione dei tirocinanti di Palazzo Luigi Razza (alcuni in servizio da dieci anni) di prendere carta e penna e scrivere un’accorata lettera. La missiva è indirizzata al presidente della IV commissione consiliare Politiche sociali Antonino Roschetti affinché interessi l’amministrazione attiva della questione, anche se gli interessati sono ben consapevoli che dovranno essere la Regione o il Governo a decidere il loro futuro occupazionale. Ma la lettera è un amaro sfogo, una denuncia e insieme una richiesta. È un modo, inoltre, per chiedere appoggio e sostegno per la loro battaglia ai piani alti del Palazzo e, nel contempo, unirsi al grido di rabbia proveniente da tutta la regione. Anche i precari che lavorano al Comune capoluogo, grazie ai Tirocini a Inclusione sociale, chiedono soprattutto di essere finalmente stabilizzati negli enti dove prestano servizio. Vogliono, insomma, vedere riconosciuta la loro «dignità» a fronte di un impegno svolto con «dedizione».
«Siamo un gruppo di 24 unità, suddivise per diverse fasce d’età, su circa 6.500 in tutta la Calabria, che da anni prestiamo servizio all’interno del Comune Vibo Valentia – attacca la missiva dei precari – Alcuni di noi, lavorano presso l’ente del capoluogo sin dal 2011. Negli anni abbiamo svolto mansioni in diversi settori: dalla portineria ai servizi cimiteriali agli uffici amministrativi normalmente aperti al pubblico, nonché a ruoli afferenti materie politiche». [Continua in basso]
Nella lettera viene ricordato che ad affiancare i tirocinanti ci sono stati i «tutor, i quali hanno riversato su di noi la loro esperienza e la loro professionalità, rendendoci dei veri e propri “impiegati” con acquisita esperienza lavorativa. Purtroppo, dato il nostro “status”, che non consente il riconoscimento come lavoratori incardinati nell’ente, tale professionalità e competenza non hanno validità. Gli anni di esperienza presso gli enti – è scritto ancora nel testo della lettera – non sono nemmeno validi ai fini di un punteggio utile nei concorsi nella pubblica amministrazione».
Per quanto riguarda la retribuzione, il cui ammontare è di soli 500 euro mensili, pagati in forma bimestrale, con tutti i disagi che questa modalità di pagamento comporta, «questa – viene spiegato nella missiva – a volte è l’unica forma di sostegno per le famiglie. Spesso ci sentiamo dire di guardarci attorno per trovare un vero lavoro, ma alcuni di noi, con età quasi vicina alla pensione, dove devono guardare? Non dimentichiamo, poi, che il nostro stato di ex percettori di mobilità in deroga è dovuto proprio al fallimento o alla chiusura di aziende ed attività martoriate dalla scarsa economia calabrese. In questi giorni, abbiamo assistito all’interesse di diverse forze politiche, che dicono di aver preso a cuore la nostra situazione presentando proposte a livello nazionale. Se tutto ciò fosse vero – annotano sempre i precari di Palazzo Razza – darebbe ristoro e sollievo alle nostre famiglie, che chiedono di riconoscere in modo equo e dignitoso il lavoro svolto con impegno e dedizione da noi precari. In molti enti, i sindaci hanno espresso il loro appoggio ai tirocinanti, presentando delle richieste di proroga dei contratti. Sebbene tale iniziativa sia lodevole, la problematica che ne seguirebbe è che ancora una volta rimarremmo “lavoratori in nero” con un rimborso di 500 euro a fronte di veri e propri ruoli svolti al pari degli impiegati. La nostra semplice richiesta è quella di vedere la nostra situazione risolta una volta per tutte, conferendo – questo l’auspicio finale dei precari – la dignità dovuta a noi tirocinanti e alle nostre famiglie attraverso un vero e proprio contratto lavorativo».