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Spaccio di droga: il processo resta a Vibo, inammissibile la rimessione ad altra sede

Uno degli imputati è il figlio della presidente della sezione penale Lucia Monaco. La Cassazione respinge l’istanza del difensore del figlio del giudice. Ecco tutte le conseguenze

Spaccio di droga: il processo resta a Vibo, inammissibile la rimessione ad altra sede

Resta a Vibo Valentia il procedimento penale nato dall’operazione “Giovani in erba” portata a termine dalla Squadra Mobile con il coordinamento del pm Claudia Colucci. La Cassazione ha infatti ritenuto “inammissibile” l’istanza per la rimessione del processo ad altra sede presentata nel gennaio scorso dall’avvocato Francesco Gambardella che l’aveva motivata con il fatto che il suo assistito (Francesco Morano) è il figlio della presidente della sezione penale del Tribunale di Vibo, Lucia Monica Monaco. Per il difensore, il giudice che dovrà giudicare il figlio della presidente della sezione penale “potrebbe non avere quella indispensabile serenità che, invece, è sempre necessaria e deve presiedere, in generale qualsiasi giudizio”. Una tesi però, evidentemente, non accolta dalla Cassazione in quanto le norme che regolano i casi di rimessione del processo – derogando alla competenza del giudice naturale precostituito per legge voluto e sancito dalla Costituzione – sono tassative e fra queste non rientra quella che si è venuta oggettivamente a creare al Tribunale di Vibo. 

Resta dunque a Vibo Valentia il procedimento penale per il quale il pm Claudia Colucci (in foto) ha già avanzato al gup la richiesta di rinvio a  giudizio nei confronti di: Francesco Morano, 21 anni, di Vibo Valentia, sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; Arcangelo D’Angelo, 28 anni, di Piscopio, attualmente sottoposto all’obbligo di dimora (avvocato Marco Talarico); Giovanni Zuliani, 22 anni, di Piscopio, agli arresti domiciliari (avvocati Francesco Muzzopappa e Domenico Anania); Michele Zuliani, 20 anni, di Piscopio, agli arresti domiciliari (avvocati Muzzopappa e Anania); Antonio Zuliani, 26 anni, di Piscopio, ai domiciliari (avvocato Muzzopappa); Nicola Doria, 31 anni, di Piscopio, sottoposto all’obbligo di dimora (avvocato Giovanni Vecchio). Altro imputato Emmanuele La Bella, 26 anni, di Piscopio, il mese scorso è stato condannato a 5 mesi e dieci giorni (pena sospesa) per un episodio legato alla cessione di stupefacente. Essendo stata definita tale posizione con rito abbreviato dal gup Graziamaria Monaco, l’udienza preliminare per i 6 imputati che hanno optato per il rito ordinario verrà trattata dal giudice Giulio De Gregorio. Il giudice Gabriella Lupoli, infatti, in tale operazione ha già rivestito il ruolo di gip all’atto dell’emissione delle misure cautelari. 

Le accuse. Detenzione ai fini di spaccio, cessione, offerta in vendita, procacciamento ad altri e consegna di sostanza stupefacente le accuse mosse a vario titolo agli imputati. L’inchiesta ha aperto uno spaccato inquietante sullo spaccio di marijuana nella città di Vibo Valentia, con il pm Claudia Colucci e la Squadra Mobile che hanno meticolosamente curato un’indagine partita a seguito dell’incendio – il 28 giugno 2016 – di una pizzeria e che ha finito per portare gli inquirenti a far luce su una rete di spaccio messa in piedi da un gruppo di giovani Piscopisani “dediti attivamente e diffusamente allo smercio di stupefacenti, prevalentemente marijuana, in particolare verso acquirenti (giovani e studenti) di Vibo-città sui cui il gruppo di Piscopio intende ancor più consolidarsi mediante l’allocazione di pedine all’interno o gravitanti intorno alle scuole, in particolare al Liceo Classico Morelli di Vibo”.

Da sottolineare che il 27 marzo scorso Antonio Zuliani è stato arrestato dalla polizia anche con l’accusa (pm Concettina Iannazzo) di essere stato uno degli esecutori materiali dell’omicidio del 45enne Francesco Fiorillo, ucciso il 15 dicembre 2015 a Longobardi. I tre fratelli Zuliani sono inoltre cugini di Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo, ritenuti ai vertici del clan dei Piscopisani e di recente condannati all’ergastolo per l’omicidio del boss di Stefanaconi Fortunato Patania. 

Le conseguenze della pronuncia della Cassazione. La decisione della Cassazione finisce per avere dirette ripercussioni anche sulla permanenza della presidente della sezione penale, Lucia Monaco, al Tribunale di Vibo Valentia. Un “caso” che ha finito per interessare pure la prima Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura che il 2 febbraio scorso ha concluso una due giorni di audizioni nel palazzo di giustizia di Vibo Valentia ed è ancora impegnata nelle proprie conclusioni in merito alle paventate incompatibilità ambientali di uno o più giudici in servizio nel locale Tribunale. 

Nei giorni scorsi alla vicenda si è interessato altresì il Consiglio giudiziario della Corte d’Appello di Catanzaro e di nuovo lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura che ha richiesto spiegazioni su alcune situazioni anche al presidente del Tribunale di Vibo Valentia, Alberto Filardo. Sulle stesse vige il più stretto riserbo, ma all’attenzione del Csm sarebbero finite vicende non riferite direttamente all’amministrazione della giustizia all’interno del Tribunale, bensì a comportamenti personali che finiscono però per creare non pochi problemi di compatibilità ambientale (e non solo) a rimanere nella sede di Vibo Valentia. All’attenzione del Consiglio Superiore della Magistratura sarebbe finita pure la scelta del luogo in cui si è tenuta la camera di consiglio di un importante processo per ‘ndrangheta celebrato dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Ora, quindi, la decisione della Cassazione sul procedimento “Giovani in Erba” che riporta sotto i riflettori la permanenza o meno della presidente della sezione penale, Lucia Monaco, nella sede del Tribunale di Vibo. 

 

In relazione all’articolo di cui sopra, dagli avvocati Francesco Gambardella e Francesca Rita Giovinazzo, riceviamo ed integralmente pubblichiamo: 

“A seguito dell’articolo pubblicato in data odierna ed avente ad oggetto la sentenza della Corte di Cassazione con cui è stata dichiarata inammissibile l’istanza di rimessione del processo, occorre effettuare alcune puntualizzazioni e precisazioni: a) innanzitutto non sono state depositate le motivazioni. Di talché l’assunto in base al quale l’inammissibilità deriverebbe dalla violazione della norma che prevede, in termini di tassatività, le ipotesi di rimessione è del tutto frutto di soggettive deduzioni, come tali non apprezzabili, nè tanto meno  proponibili, allo stato, come verità processuali; b) giammai si discute, con l’istanza di rimessione, di incompatibilità ambientali del magistrato, per come (ci si augura) involontariamente si vuole fare intendere negli articoli che si sono occupati del caso. Invero l’iniziativa, strettamente giuridica,  non può essere stravolta nel suo significato intendendola, strumentalmente (e da qualcuno, surrettiziamente) come un riconoscimento di situazioni di incompatibilità. Sta di fatto che il pronunciato del Supremo Collegio, di cui si sconoscono le motivazioni, cristallizza, zittendo ogni diversa opinione, la serenità di un ambiente giudiziario e finanche le tanto paventate incompatibilità; c) la norma che regola la rimessione parla di situazioni locali e non motivi locali. La differenza non è solo formalmente lessicale, ma sostanziale. La Corte di Cassazione non ha ritenuto sussistenti gravi situazioni locali. Tanto si doveva”.

Sin qui la cortese nota degli avvocati Gambardella e Giovinazzo. Per parte nostra preme evidenziare di non aver scritto in nessun passaggio dell’articolo in ordine alle motivazioni della decisione della Cassazione. Ricordiamo però (come già scritto nell’articolo datato 11 gennaio 2018) che è stata l’istanza dei difensori a sottolineare come “sebbene le norme che regolano i casi di rimessione del processo siano tassativi”, nel caso in esame la “rilevanza della situazione oggettiva che si è venuta a creare” sarebbe, ad avviso dei difensori, “univocamente significativa in ordine alla reale idoneità a fuorviare la serenità del giudizio”. Da qui la richiesta degli avvocati di Francesco Morano di rimessione del processo ad altra sede, superando in tal modo la tassatività dei casi di rimessione del processo regolate dalle norme. Tesi non accolta dalla Cassazione che ha ritenuto l’istanza “inammissibile”. Daremo ovviamente conto – per dovere di cronaca e diritto dei cittadini ad essere informati su questioni di indubbio interesse pubblico – del percorso logico-giuridico seguito dalla Suprema Corte per respingere l’istanza appena saranno depositate le motivazioni. Si resta in attesa, invece, delle decisioni del Consiglio Superiore della Magistratura (che attengono a profili diversi) a seguito delle audizioni nel palazzo di giustizia di Vibo Valentia del febbraio scorso. Audizioni proseguite nei giorni scorsi in altra sede. (G.B.)

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