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Omicidio Mazza ad Acquaro: tre condanne in Appello

I giudici di secondo grado accolgono il ricorso della Procura di Vibo e riformano la sentenza per due degli imputati assolti in primo grado. Il fatto di sangue il 19 gennaio 2017 dopo uno spintone all’interno del bar della frazione Piani

Omicidio Mazza ad Acquaro: tre condanne in Appello
La Corte d'Appello di Catanzaro

E’ stato accolto dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro il ricorso della Procura di Vibo Valentia avverso la sentenza con rito abbreviato con la quale il gup del Tribunale di Vibo Valentia, Gabriella Lupoli, il 17 luglio 2018 ha emesso il suo verdetto in relazione all’omicidio di Rosario Mazza, 22 anni, avvenuto in località Piani di Acquaro in data 19 gennaio 2017.
18 anni di reclusione, con il riconoscimento delle circostanze generiche equivalenti alle contestate aggravanti, è stato condannato anche in appello Alessandro Ciancio, esecutore reo confesso del delitto, mentre a 17 anni e 4 mesi è stato condannato il padre, Cosimo Ciancio, ed a 10 anni e 2 mesi Giuseppe Ciancio, fratello di Alessandro (previo riconoscimento della “minima partecipazione” al fatto di sangue). Sia Cosimo Ciancio che il figlio Giuseppe in primo grado erano stati assolti, nonostante richieste di condanna da parte della Procura di Vibo rispettivamente a 24 e 22 anni di reclusione. [Continua in basso]

Per il delitto di Rosario Mazza, al cui indirizzo erano stati esplosi sei colpi di pistola, non ci sarebbe una vera causale. Uno spintone, un ceffone ed uno sguardo di troppo all’interno di un bar del paese alla base dell’omicidio. Rosario Mazza lavorava come aiuto cuoco in un ristorante di Laureana di Borrello ed in occasione del fatto di sangue è rimasto ferito anche il fratello Simone. Messo di fronte alle proprie responsabilità ed agli elementi di prova, Alessandro Ciancio aveva poi reso piena confessione. 
Il gip all’atto dell’arresto aveva parlato di gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Alessandro Ciancio per aver cagionato la morte di una persona e aver attentato alla vita di una seconda, utilizzando senza remora delle armi da fuoco per la “commissione di reati gravissimi” perpetrati in mezzo alla pubblica via e sulla spinta di motivazioni definite dal “assolutamente futili con il tentativo addirittura di nobilitare il proprio gesto”. A tal proposito, secondo il giudice che aveva emesso l’ordinanza, rilevano le “brutali modalità con le quali è stato compiuto il delitto, con Alessandro Ciancio che ha sparato da distanza ravvicinatissima non appena ne ha avuto l’occasione” con l’arma – una pistola calibro 6,35 detenuta illegalmente – non è stata trovata. Gli imputati erano difesi dagli avvocati Giovanni Vecchio e Bruno Ganino.

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