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8 settembre 1943, a Vibo Marina lo sbarco che salvò la Calabria

In quella data gli Alleati avviarono l’operazione “Ferdy” che probabilmente evitò alla nostra regione tremende rappresaglie naziste

8 settembre 1943, a Vibo Marina lo sbarco che salvò la Calabria

Il 17 agosto 1943 era terminata la battaglia per la Sicilia, con i tedeschi che erano riusciti ad evacuare dall’isola la maggior parte dei propri uomini e materiali grazie al successo di un’audace operazione effettuata per mezzo di un ponte di barche.

Il 3 settembre l’Ottava armata del generale Montgomery sbarcava in Calabria dopo aver conquistato la Sicilia. Iniziava l’operazione “Baytown”. Erano le prime truppe britanniche a combattere in questa parte d’Italia dal 1806, quando sir John Stuart aveva sconfitto i francesi sull’altopiano di Maida.

Le forze tedesche presenti in Calabria, la 26a divisione Panzer e la 29a divisione Panzergrenadier, si stavano intanto ritirando velocemente verso nord in previsione di uno sbarco anglo-americano in grande stile, che avverrà a Salerno il 10 settembre. Ma le unità tedesche si stavano ritirando lasciando dietro di sé macerie a catena lungo tutte le vie di comunicazione da nord a sud e da costa a costa. E purtroppo avevano cominciato a lasciare dietro di sé anche una scia di sangue innocente, come sarebbe spesso accaduto in Italia nel corso della seconda guerra mondiale.

Erano giornate di grande concitazione e confusione. Il 3 settembre era stato firmato a Cassibile l’armistizio tra Italia e anglo-americani, anche se la notizia verrà data la sera dell’8 settembre. Fra le truppe italiane tirava aria di smobilitazione e i tedeschi erano diventati sempre più diffidenti e ostili; aumentava, di giorno in giorno, il loro sentimento di vendetta per la firma dell’armistizio da parte dell’Italia, considerato un tradimento verso l’alleato tedesco.

Le truppe della Wermacht si erano concentrate nella Piana, la maggior parte a Rizziconi e nei comuni limitrofi di Cittanova e Taurianova, per tentare un’improbabile difesa del continente. Poi arrivò l’ordine di ritirarsi verso nord. Forse i tedeschi già sapevano o cominciavano a sospettare che gli italiani stavano per cambiare alleato e, prima di ritirasi, indirizzarono il fuoco dei carri armati sull’abitato, massacrando a cannonate inermi cittadini, in maggioranza donne, bambini e anziani, vite inermi spezzate per rappresaglia dai nazisti: 17 morti e 56 feriti fu il tragico bilancio dell’unica strage nazista registrata in Calabria, rimasta impunita e di cui non c’è traccia neanche nel registro dei crimini di guerra presso la procura militare di Roma; nessuno ne ha parlato, nessuno ha denunciato, nemmeno i familiari delle vittime, gente di Calabria abituata ad ataviche ingiustizie e oppressioni.

La “calda” estate del ‘43

Secondo i piani dei comandi alleati, bisognava assolutamente intercettare le divisioni tedesche e tentare di tagliare loro la ritirata. Il generale Alexander aveva mandato un messaggio al generale Montgomery per spiegargli che era assolutamente indispensabile impedire ai tedeschi di raggiungere Salerno. Il comando superiore tedesco era infatti venuto a sapere che una grande flotta alleata da sbarco navigava nel Tirreno e ne dedusse l’imminenza dell’invasione trasmettendo il messaggio in codice “Feuerbrunst” (il fuoco brucia) per informare tutte le unità che la flotta alleata faceva rotta verso Salerno .Venne, pertanto, diramato l’ordine di dirigersi immediatamente in quella zona.

Fu allora pianificata, da parte degli Alleati, un’operazione-lampo. Il piano prevedeva lo sbarco di un grosso contingente di truppe dietro le linee nemiche con lo scopo di ostacolarne la ritirata, prevenire l’opera di demolizione di ponti e strade e quindi agevolare l’avanzata dell’8^ Armata britannica. Lo sbarco a Vibo Marina, denominato in codice “operazione Ferdy”, era stato deciso il 6 settembre dal generale Dempsey, lo stesso che guiderà le forze britanniche durante lo sbarco in Normandia. L’operazione venne messa a punto in tutta fretta: Dempsey decise allora che la flotta d’assalto sarebbe partita da Messina ed aveva individuato il luogo adatto per mettere a terra le truppe : “Near Pizzo, at porto Santa Venere”.

A causa del poco tempo dedicato alla preparazione dello sbarco, l’azione rischiò di fallire se non fosse stato per la forte prevalenza alleata in campo aereo e navale. Si scatenò uno scontro sanguinosissimo con combattimenti ravvicinati, spesso corpo a corpo. Sul mare galleggiarono cadaveri e membra umane. A testimoniare che si trattò di una battaglia vera e non di una semplice scaramuccia, bastano i dati forniti dalle fonti britanniche: i caduti tra le forze alleate ammontarono a circa 200, tre mezzi anfibi e una nave da sbarco vennero affondate. Non vengono fornite notizie in merito alle perdite in campo tedesco, ma si può desumere che esse furono ancora più pesanti di quelle alleate: undici cannoni e nove veicoli furono distrutti. Non è azzardato affermare che quella svoltasi l’8 settembre a Vibo Marina fu la più sanguinosa battaglia combattuta in Calabria durante la seconda guerra mondiale. Il parroco dell’epoca, don Costa, si trovò davanti a uno spettacolo agghiacciante e si prodigò per dare alle vittime il conforto della pietà cristiana. Al suo aiutante, che candidamente gli chiese se si dovessero benedire i morti inglesi o quelli tedeschi, rispose: “Il Signore non fa distinzione di divise, bisogna benedire tutti”.

Alle 19.45 di quel fatidico giorno, che tante tragiche conseguenze avrebbe avuto per gli italiani, Radio Roma e la BBC comunicarono la notizia della resa incondizionata dell’Italia. Ma ormai le colonne tedesche avevano abbandonato il paese ritirandosi verso nord, circostanza che forse evitò una possibile reazione sulla popolazione civile come avvenuto a Rizziconi. Richiamate dal messaggio “Feuerbrunst”, la 26a Panzer Division e la 29a Panzergrenadier, considerate tra le migliori divisioni corazzate della Wermacht erano troppo impegnate a correre verso Salerno: l’operazione “Avalance”, lo sbarco che avrebbe aperto la strada alla liberazione di Roma, stava per iniziare.

Nelle sue memorie, lo storico inglese colonnello C. J. C. Molony scrisse: “Non vi è dubbio che l’operazione di Porto S. Venere ebbe un importante peso nell’accelerare la ritirata tedesca nel sud Italia”. Il 10 settembre l’ultimo soldato tedesco aveva lasciato il suolo calabrese: la permanenza delle truppe germaniche nella regione, grazie all’operazione Ferdy, era durata appena venti giorni.

Questa importante operazione anfibia riuscì dunque, dal punto di vista militare, nell’intento di accelerare la ritirata dei tedeschi, impedendo loro di portare a compimento le operazioni di demolizione lungo la strada costiera, come era nei piani alleati; ma, fatto ancora più importante, la precipitosa ritirata impedì che la furia nazista, conseguente alla proclamazione dell’armistizio, si rivolgesse contro le inermi popolazioni calabresi.

L’eccidio di Rizziconi rimase l’unica strage nazista registrata in Calabria e ,purtroppo, la più tragica del Mezzogiorno d’Italia. Impunita e dimenticata.

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