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‘Ndrangheta: processo a Vibo a prete e maresciallo, giudici ricusati

Il presidente del Tribunale, Alberto Filardo, respinge la dichiarazione di astensione del Collegio. Le difese di Cannizzaro e Santaguida si rivolgono alla Corte d’Appello

‘Ndrangheta: processo a Vibo a prete e maresciallo, giudici ricusati

Il presidente del Tribunale di Vibo Valentia, Alberto Filardo, rigetta la dichiarazione di astensione del Collegio del processo che vede imputati l’ex comandante dei carabinieri della Stazione di Sant’Onofrio, Sebastiano Cannizzaro, e il sacerdote don Salvatore Santaguida, e le difese formalizzano la ricusazione nei confronti dei giudici. Sarà quindi la Corte d’Appello di Catanzaro a dover decidere sulla validità delle ragioni poste alla base della dichiarazione di astensione dalla prosecuzione della trattazione del processo che erano state messe nere su bianco dai giudici Lucia Monaco (in foto in basso), Pia Sordetti e Giovanna Taricco nell’udienza del 29 marzo scorso. In tale data il Collegio aveva dichiarato la propria incompatibilità alla trattazione del processo in quanto gli stessi giudici il 12 marzo hanno emesso la sentenza nei confronti di altri 14 imputati del medesimo procedimento nato dall’operazione antimafia denominata “Romanzo criminale” contro il clan Patania di Stefanaconi.

Le difese di Cannizzaro (avvocati Aldo Ferraro e Pasquale Patanè) e Santaguida (avvocato Enzo Galeota) avranno quindi ora tre giorni di tempo per depositare l’istanza formale di ricusazione alla Corte d’Appello di Catanzaro che dovrà decidere se confermare o meno la dichiarazione del presidente del Tribunale Filardo di non condividere la volontà di astensione dei giudici del Collegio.

Per i legali degli imputati, gli stessi giudici, avendo già riconosciuto con apposita sentenza  l’esistenza dell’associazione mafiosa dei Patania, hanno già operato una valutazione pure sulle figure di Cannizzaro e Santaguida (accusati di concorso esterno in associazione mafiosa), posto che nello stesso capo d’imputazione si contestava l’operatività del clan anche attraverso il presunto apporto di Cannizzaro e Santaguida.

Il giudice Lucia Monaco aveva peraltro convalidato nel 2012 i fermi dell’operazione antimafia “Gringia” che prendeva in esame gli omicidi commessi dal clan Patania.

L’esame di Comparone. Il processo è quindi proseguito oggi con l’escussione in aula del maresciallo Raffaele Comparone, all’epoca dei fatti in servizio alla Stazione dei carabinieri di Sant’Onofrio ed attualmente lontano dalla Calabria. Rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, e poi della difesa di Cannizzaro, il teste ha negato di sapere qualcosa del protocollo informatico apposto sull’informativa la cui falsità viene contestata a Sebastiano Cannizzaro. La difesa di Cannizzaro ha contestato al teste che, sulla scorta di alcuni accertamenti compiuti dalla Procura distrettuale di Catanzaro, risulta invece sia stato lo stesso Comparone a realizzare il protocollo informatico. Il maresciallo Comparone sul punto ha spiegato di non ricordare se tale protocollo informatico l’abbia realizzato egli stesso, sempre su richiesta di Cannizzaro, o qualcun altro. Dal controesame è emerso però che la password per accedere al sistema informatico la conosceva solo lo stesso maresciallo e non era stata mai ceduta ad altri.

Il maresciallo Maria Antonella Caolo, all’epoca dei fatti in servizio alla Stazione dei carabinieri di Sant’Onofrio, ha dal canto suo confermato oggi in aula che la gestione della comunicazione di reato – relativa alle denunce di Mario Michele Fiorillo contro i Patania per il pascolo abusivo degli animali nella Valle del Mesima – l’aveva il maresciallo Compartone. Si tratta della stessa Cnr (comunicazione notizia di reato) che l’accusa contesta al maresciallo Cannizzaro di aver tirato fuori solo dopo gli omicidi di Michele Mario Fiorillo e di Fortunato Patania nel settembre 2011.

Prossima udienza il 12 giugno.

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